mercoledì 24 dicembre 2008

COPPI O BARTALI ? o IL PANETTONE


Il panettone Alemagna


Dalla biografia su Gino Alemagna, focalizzata negli anni del dopoguerra sulla (ri)nascita e lancio industrial-popolare del panettone (in forte concorrenza con l’altro industriale-pasticcere, sempre di Milano, Angelo Motta), spulcio una bella ed insuperabile frase dal Corriere della Sera del 21 dicembre 2008, che vi voglio riportare:

“Nel laboratorio di Via Fra Paolo Sarpi, con un occhio sempre puntato a quello che il rivale Angelo Motta combina in Via della Chiusa, l’ex ragazzo di bottega (Gino Alemagna) reinventa il panettone (fino ad allora considerato un dolce povero, pan de Toni, un vecchio fornaio: n.d.r.): d’ora in poi quel dolce soffice ed alto come il cappello di un cuoco riuscirà – almeno nello spazio di un brindisi – a rendere uguali ricchi e poveri.” (Fabio Cutri)


E’ stato anche secondo me il segreto del larghissimo successo del noto dolce milanese. Ai miei tempi (anni ‘50’60), le due grandi marche milanesi erano in fortissima concorrenza tra loro. Erano quasi due “partiti” natalizi: si parteggiava o per l’uno o per l’altro, quasi come, nel ciclismo, per Coppi o per Bartali. Poter acquistare un panettone di quelle due marche era allora segno di status symbol. Le produzioni locali, artigianali, vennero più tardi, quasi su imitazione. C’erano allora esclusivamente i panettoni classici (uvette e pinoli), mentre il suo prodotto alternativo (pandoro) verrà solo verso la fine degli anni ’60, come le loro variazioni (senza canditi, senza uvette....senza panettone). Il resto è storia più recente: da ultimo, il panettone di pasticceria a 20 euro per chilo.Ma questo non è più argomento storico, ma sociologico.


Paolo R.

24.12.08





24.12.08

domenica 21 dicembre 2008

EUREKA ! (Ho trovato!)


Una delle principali caratteristiche dei giovani - ed anch’io lo sono stato - è certamente quella di essere profondamente idealisti. E questo comporta sempre la viva speranza che quello che più di buono pensano possa un bel giorno realizzarsi nella società locale, nazionale e mondiale. Tra gli alti loro ideali, certamente quello di avere a disposizione una stampa veramente indipendente ! Sarà destinato a realizzarsi ? Si vedrà di seguito.

PUNTO PRIMO. Torniamo a circa metà degli anni ’60. Ex Cinema “Roma”, già in Prato della Valle. In una calda domenica pomeridiana con gli amici un po’ scettici andiamo a vedere “Signore e Signori” di Pietro Germi, destinato poi a diventare una delle pietre miliari del cinema italiano di costume del dopoguerra. Descrive in profondità, in ambiente veneto di provincia (la città di Treviso), la buona società cattolico-borghese alle prese con uno scandaletto a sfondo sessuale. Vi sono coinvolti i rampolli di alcune famiglie-bene di quel centro. L’articolo sullo scandalo non é ancora stato completato con la battitura a macchina da parte del cronista, che una continua serie di telefonate dei genitori di quei rampolli induce il povero redattore a cancellare i corrispondenti nomi dall’articolo. Non rimane quasi più nessuno. Deluso e mortificato, al malcapitato cronista non rimane che cestinare rabbiosamente le cartelle che stava completando. Ma con perfetta scelta dei tempi, e con altrettanta ironia, il regista improvvisamente inquadra la grandissima illuminata (era notte) insegna del giornale -“L’NDIPENDENTE” - che rompe il buio della piazza sottostante. Mai titolo più sbagliato.

PUNTO SECONDO. In tutti gli anni seguenti (kennedismo, ad esempio) e nei successivi abbiamo ancora sempre cercato e ricercato di trovare una stampa veramente indipendente. Come ho scritto già 10 anni fa in altra sede, il merito principale (sempre però parziale) l’ha ottenuto “Il Giorno” di Italo Pietra e di Gaetano Afeltra, poi. Ma nel complesso sono stato assai deluso in questa poliennale ricerca. Oggi, stanco e profondamente deluso, ho preferito delegare alla mia brava e paziente moglie Marina la più semplice, realistica, lettura dei quotidiani esistenti, limitandomi a farmi sunteggiare solo le notizie più importanti e di maggiore interesse per me (lei mi conosce assai bene).

PUNTO TERZO. Non gioco mai al lotto od a giochi simili di scommesse. Tuttavia, abitualmente fumando, mi reco sistematicamente in tabaccherie-ricevitorie ove, sempre appesi sul bancone, noto il “Notiziario delle estrazioni” (come da foto). Sono stato portato così a ritenere di aver finalmente trovato la tanto affannosamente ricercata pietra filosofale (= stampa veramente indipendente). Chi la dura la vince !

21.12.08

Paolo R.

mercoledì 3 dicembre 2008

NON SI PUO' CONOSCERE TUTTO


Sono forse in netto recupero temporale ? Forse si!

Non prescelgo ancora Internet ai tradizionali Dizionari (Dardano). Ma stavolta ho fatto esattamente il contrario ed vi ho subito trovato la voce “tovagliato” da cui, soddisfacentemente, ho tratto la fotografia qui presentata.

Stamattina dal bus ho intravisto un camioncino in sosta sulla cui fiancata era riportata la dicitura: “Lavanderia industriale – tovagliato pizzerie e ristoranti”. Ho subitissimo capito di cosa si trattava solo perché, del tutto opportunamente, era stato premesso “Lavanderia industriale”, come detto. Si trattava semplicemente di una ditta che provvedeva a lavare tovaglie + tovaglioli di pizzerie e ristoranti. Semplice no ! L’avrei capito ugualmente in assenza della dicitura iniziale ? Non lo so proprio.

Avviene però che io non mi occupi di quel settore se non come avventore. Per me si è trattato quindi di una parola del tutto nuova che ha completamente colpito la mia attenzione. Credo che in quei settori l’esigenza “omnicompresiva” si sia manifestata già da un pezzo, se anche il bravissimo Dardano di 10 anni fa ne dà la seguente spiegazione: “1. Insieme di biancheria da tavola; 2. Tessuto per tovaglie”. Fin qui non si è scoperto che l’acqua calda, ne sono del tutto consapevole.

Ciò mi dà ancora l’occasione di indagare, esemplificativamente, su come nascono le parole nuove (neologismi), di cui ho già precedentemente accennato. Ebbene, nascono in connessione ad esigenze del tutto nuove, che in precedenza non si erano manifestate. Mi viene in mente, in parallelo, la vecchia parola veneta “quintalato”, che semplicemente indica la resa per ettaro delle varie colture. L’ho sentita 20 anni fa in campagna da un vecchio contadino ed anche lì ho dovuto pensarci su. Evidentemente, quel suffisso “ato” non incontra proprio il mio favore.

Rimane ancora piuttosto misterioso per me l’opposto fenomeno degli “arcaismi”, cioè delle parole derubricate dal vocabolario. Chi se ne dovrebbe occupare ? Solo gli editori ? Come mai, dopo decenni di totale abbandono, torna ad essere presente nei normali vocabolari il lemma “eziandio” (= anche) ? Forse solo per ragioni storiche (= per la consultazione di vecchissimi libri ?) ?

Il cammino filologico, pur se modesto, continua e continuerà ancora.


Paolo R.


3.12.2008

martedì 2 dicembre 2008

LE FOTO TRA LE FOTO


Da oltre 10 giorni non produco nulla. Qualcuno se ne è mostrato un po’ preoccupato. Anch’io, ma solo in parte. Stavo solo cercando la mia stella polare, ma non ho mai smesso di scrutare nel cannocchiale. Ora mi sembra arrivato il momento di dire: “Finalmente l’ho vista abbastanza chiara!”

La mia stella polare era l’esatto oggetto della mostra fotografica: “Dalla lastra al digitale. Ottant’anni di immagini del Gabinetto fotografico dei Musei Civici” (di Padova) (1920-2000), in corso di esposizione al Museo agli Eremitani fino a metà gennaio prossimo. Vi sono infatti esposte sia lastre in vetro (scattate nel secolo addietro) sia stampe su carta fotografica. Vi invito caldamente ad andarle a vedere, specie gli amanti della fotografia come tale e di Padova passata. Già perché, mi sembra, la mostra ha più oggetti impliciti. Principale è senz’altro quello riguardante l’attività fotografico-artistica del suddetto Gabinetto, che ha avuto per principale oggetto il Museo stesso (collezioni, personaggi, etc.), sia la Padova urbanisticamente in trasformazione. La mostra non poteva essere sufficientemente esaustiva (sui due fronti), ma avuto finalmente il grande merito di aprire agli ignari padovani parte delle ricchissime collezioni del Gabinetto fotografico, completate con bella mostra di macchine fotografiche d’epoca..

A parte, per dovere di gratitudine, è esposta una carrellatina di ritratti eseguiti ‘novecentescamente’ dai maestri Luigi Turolla (1889-1968), già con studio in zona Ponte Torricelle, e Menotti Danesin (1894-1976), che al cessare della loro attività (circa 40 anni fa) hanno donato al nostro Comune gli interi loro archivi (fotografici). Ai due maestri sono state perciò giustamente riservate due sale espositive. Anche se non esperto di fotografia, potrei timidamente avanzare il “sospetto” che la fotografia (parola, mi scuso, molte volte da me qui ripetuta) abbia cominciato a muovere i primi passi proprio con la ritrattistica. Che ne pensate ?

Casualmente sul “Corriere della Sera” di mercoledì 26 novembre scorso (pag. 26) trovo un assai interessante spunto, in termini generali, del giovane scrittore Andrea De Carlo, che voglio proprio riportare testualmente: “Quello che mi ha sempre affascinato della fotografia è la sua estrema, insuperabile capacità di sintesi. Un romanziere ha bisogno di centinaia di parole per descrivere una situazione, un luogo, un gesto, uno sguardo, un sentimento. Gliene servono decine di migliaia per scrivere una storia intera. Un fotografo, se è così bravo e fortunato da trovarsi al posto giusto al momento giusto, può riuscire a fare lo stesso con un solo scatto, in una frazione di secondo. ...”



Paolo R.

2 dicembre 2008

giovedì 20 novembre 2008

la "Coccoina"


Stamattina mi sono recato, come al solito, in un ufficio amministrativo della mia vecchia Banca. Sul tavolo di lavoro di una cara e gentile Signora stava in bella mostra un simpatico barattolino. Rotondo, di alluminietto quasi grigio-fosforescente, argenteo, con la scritta in semicorsivo blu., “Coccoina”. Era già la seconda volta che lo notavo, ma stavolta avevo preso una decisione seria: scriverci sopra qualcosa.
Non pensavo veramente che anche stavolta Internet mi avrebbe aiutato (foto). In realtà è un prodotto, tutto italiano, piuttosto storico e serio, risalendo addirittura al 1927, di una solidissima azienda di Voghera, inventato già un decennio prima dell’adozione della politica autarchica nazionale. Per i pochi che non lo sanno, si tratta di una colla bianca, profumata, in pasta, per uso ufficio ed utilizzo fotografico, principalmente commercializzata in un barattolino, appunto, di alluminio nel cui centro c’é l’alloggiamento verticale e strettino per il pennellino con cui stendere la colla stessa. Forse anche a quest’ultimo aspetto è dovuto il suo duraturo successo, secondo me. Del prodotto ho un ricordo molto lontano nel tempo.

Inizialmente (primissimi anni ’50) non la si poteva comprare per ragioni di costo e per incollare sugli album le figurine ci autoproducevamo la colla con l’acqua e la farina fiore. Ma faceva troppi grumi ed era troppo difficile da gestire ed utilizzare. Altri tempi. Poi venne la colla liquida arabica, forse più abbordabile. Venne insieme anche la colla, sempre liquida, padovana, la “Pessi”, prodotta sulla canaletta “Conciapelli” al Carmine. Chissà se qualcuno in città conserva ancora le fotografie del suo stabilimento. Era un piacere per noi ragazzi di quartiere poter utilizzare prodotti padovani, anche se eravamo ben lungi dall’essere campanilisti-autarchici. Ne eravamo comunque molto orgogliosi.
Ma gli uffici professionali ed i giornalisti già usavano abbondantemente la Coccoina, spesso in vasetti formato gigante, perché ne facevano larghissimo uso. Mentre noi ragazzi l’abbiamo a lungo considerata così: un prodotto professionale esclusivamente per uffici. E così è rimasta legata, per noi, credo, al largo uso,

Non credevo che un semplice barattolino, rivisto 2 volte nei tempi più addietro, mi avrebbe così scatenato. Comunque, chi ha avuto l’occasione di leggere il mio “pezzetto” “Cancelleria”, risalente ormai a 10 anni fa, avrà certamente colto il mio rispetto ed il mio amore per quei supporti, per me segno di ordinata professionalità


20.11.08


Paolo R..

domenica 16 novembre 2008

EVVIVA (L')ASIAGO


Stavolta il titolo sembra contenere un errore di battuta, ma così non è. Ve ne daremo presto spiegazione. E’ certamente riferito all’importante centro montano in provincia di Vicenza a mille metri di altitudine.
Ci sono andato, la prima volta, all’età di 5 anni ad accompagnare don Giorgio Veronese che andava, da S. Benedetto, lì cappellano. Mi avevano scelto tra tutti per la mia “cordiale vivacità”. Ricordo poco meno che la Giardinetta di legno guidata da don Decimo e le innumerevoli curve (tornanti) del Costo. Ricordo ancora (eravamo verso il 1955) la ghiaina che improvvisamente, in curva, rovinò un po’ la macchinetta. Ricordo anche l’alto fianco del suo Duomo, sui cui scalini ci fermammo a riposare.

Dopo di allora ad Asiago (chissà perché) non ci tornai mai più, mentre erano in continuo aumento quelli che vi andavano in gita od a soggiornarvi. Per me rappresentava comunque montagna, anche se non proprio le alte vette (lago di Carezza, ad esempio).

Da grande sentivo sempre parlare poi del progressivo spopolamento della montagna in genere e dell’utilità e necessità di salvaguardarla. Anche nei successivi studi economici mi occupai volentieri di agricoltura di montagna. Asiago mi tornava spesso alla mente a mo’ di esempio. Testimonianza fu che per anni seguii fedelmente e con notevole interesse la trasmissione televisiva mattutina domenicale di “A come agricoltura”. Oggi danno, sempre con le stesse modalità, “Linea verde”, ma i miei interessi sono nel frattempo cambiati.

Solo l’anno scorso ebbi modo di tornare ad Asiago e lo vidi con un certo rimpianto... sull’età dei 5 anni. Visitammo tra l’altro il bel Duomo con lo stupendo mosaico color azzurro-oro del battistero. Il comune farà dal sì al no 3 mila abitanti fissi, che diventano circa 10 mila nei periodi turistici. Non mi è sembrato infatti proprio un grosso centro urbano, ma la sua conclamata rinomanza lo supera abbondantemente. Siamo poi stati alla Latteria “Pennar” ad acquistare, naturalmente, il buon formaggio Asiago, sia fresco che stagionato e siamo stati contenti dell’acquisto. Abbiamo portato così una goccia di contributo all’economia agricola veneta di montagna. Veneta: per salvare le nostre genti; agricola: per salvare i contadini-autoproduttori (cooperativa); di montagna: per non far naufragare nel nulla la montagna.
Anche nel frattempo degli anni avevo pensato a quella produzione ed a quei valori economico-sociali, acquistando di quando in quando quasi per incanto quel buon formaggio in città.

Ma Asiago mi ricorda anche la colonia estiva (POA) dove andavano d’estate i miei fratelli. Io – chissà perché – non ci sono proprio mai andato. Chissà anche perché... sono rimasto piuttosto a casa.

Concludendo: anche ieri ho acquistato, con le stesse motivazioni, un bel pezzo di formaggio Asiago agli stand gastronomici in Prato della Valle. Contento di averlo trovato. Ho così ancora una volta assaporato i bei gusti della media montagna veneta.




Paolo R.

16.11.08





mercoledì 12 novembre 2008

DALLA SCUOLA MEDICA DI SALERNO AL "TACUIN"













Il mio carissimo amico Nino ha perfettamente indovinato regalandomi un semplice taccuino. Di dimensioni tascabili, a righe, con elastico di chiusura. Sapeva che l’avrei messo subito in funzione per prendere appunti volanti, per la strada. E difatti, ier l’altro, andando a spasso (di domenica mattina) per il centro della città, l’ho usato in abbondanza. Ne vedrete presto i frutti. La domenica mattina, ho constatato, è la miglior parte della settimana in cui si può osservare (non c’è confusione per le strade) e prendere debite annotazioni. E fermandosi a scrivere non si intralcia nessuno.
Infatti, il taccuino serve a fermare impressioni, osservazioni, notizie che altrimenti si perderebbero nella memoria di ¼ d’ora. Una cosa analoga, seppure parzialmente, la può fare il fotografo. Sono due modi complementari di “fissare”.

Taccuino ha ormai perso l’originario significato di lunario-almanacco, del quale non è qui il caso di parlare. Rimane quello di libriccino per appunti, detto anche block notes. E’ un libriccino per annotare e per poi eseguire o sviluppare. Mentre l’agenda riguarda le cose da fare, suddivise per giorno; il diario, sempre suddiviso per giorno, riguarda le cose già fatte. Queste cose le sappiamo tutti, anche se non vi ci siamo mai soffermati, per... mancanza di tempo.

Taccuino ha origini assai lontane risalendo all’arabo taqwin = giusto ordine, corretta disposizione. Difatti risale alla Scuola medica di Salerno (nella foto) dell’XI° secolo, qui di seguito brevemente presentata:

« Si tibi deficiant medici,medici tibi fiant haec tria:mens laeta, requies, moderata diaeta. »
« Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta. »
(Scuola Medica Salernitana, Regimen Sanitatis Salernitanum)
La Scuola medica salernitana è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (XI secolo); come tale è considerata da molti come l'antesignana delle moderne università.
Difatti, il Dizionario italiano a cura di Tullio De Mauro (Paravia) giustamente riporta che per taccuino si intende il titolo dato araccolte di prescrizioni mediche ed igieniche o a PICCOLE enciclopedie di medicina. La PICCOLA dimensione fisica (vademecum) rimarrà elemento stabile nel tempo, mentre sarà destinato a variare il suo "contenuto".
Anche il Nuovo Etimologico della Zanichelli è assai ricco al riguardo, precisando che per taccuino si intende "corretta disposizione, giusto ordine": diffuso attraverso due opere di autori arabi divulgate dalla Scuola medica di Salerno col titolo tachiunum sanitatis.
Infine, per sola completezza in senso regionalistico veneto, il taccuino ha assunto invece il significato di portamonete (el tacuìn), sempre per le sue PICCOLE dimensioni. E così il titolo di questo post è finalmente spiegato.
Paolo R.
12.11.08

martedì 11 novembre 2008

COGITO ERGO SUM


“Domine non sum dignus”, si diceva una volta ricevendo la Comunione. Oggi, con la Messa in “volgare”, esso è andato nel dimenticatoio. Ma noi sessantenni ce ne ricordiamo ancora abbastanza bene. Mi viene in mente questa “sequenza” a (s)proposito della festa di oggi in Francia. E ve ne spiegherò tra breve il concreto motivo.
Ieri, mia figlia da Parigi mi aveva annunciato la grande festa francese di oggi. Ho naturalmente ed ingenuamente pensato a San Martino di Tours (371), quello col mantello diviso col povero, analogamente a quanto avviene in Italia. Ma, già altre volte Serena mi aveva detto della profonda laicità della Francia. Ero un po’ perplesso. Mi baluginava il messaggio del mio caro amico Romano Bruni ad un mio viaggio in Francia nel lontano 1985: “E’ il paese di Cartesio" (nella foto): “Cogito ergo sum”. E così avrebbe dovuto essere. Ma, solo a nominarlo indegnamente, mi torna il “Domine non sum dignus”.
Ma non è neanche questa la chiave di lettura della festa nazionale francese odierna. Sempli-cemente si ricorda il trattato di pace della I^ Guerra mondiale che del tutto casualmente cade nella festa di S. Martino, come mi precisa meglio, oggi, mia figlia via e-mail.

Spostiamo brevemente l’obiettivo. Noi italiani festeggiamo da sempre, come conclusione della I^ Guerra mondiale, il 4 novembre. Semplicemente la Francia lo celebra 7 giorni dopo. Evidente-mente le ostilità non hanno avuto contemporanea fine sui diversi fronti. La storia non è tutta e solo quella dei classici libri di testo, ma va arricchita e verificata con altre fonti, anche esterne.

Lo stesso mi capitò, in un tempo passato, in riferimento al lontano 1453: Caduta dell’Impero romano d’Oriente, secondo un libro “occidentale”; “Conquista di Costantinopoli” secondo una fonte diversa. Cambia solo l’angolo di visuale. Ma vi pare poco ? La “verità” ha quanto meno due facce se non di più !

E’ bene perciò saper leggere in più direzioni contemporaneamente per avere un’idea della complessità del mondo e della storia.


Paolo R.

11.11.08

mercoledì 5 novembre 2008

UN MAGNIFICO, ONESTO, IMPOSTORE



Con un viaggetto di 12 km. sono stato a Maserà di Padova, al locale cimitero, per meglio dire al “campo santo” come indicato dai cartelli direzionali. Volevo vedere la tomba di Giorgio Perlasca, che sapevo ivi sepolto, vedere se era degna di un personaggio così benemerito. In realtà si tratta di una comune tomba di marmo, sulla quale balza in evidenza una dicitura:. “Giusto tra le nazioni”.

Sono andato subito a documentarmi. E’ un titolo che spetta, secondo il diritto israeliano (legge del 1953) alle persone non-ebree che si sono prodigate, anche a rischio della vita, per salvare anche un solo ebreo dalla deportazione nazista. Non voglio raccontarvi la storia di Perlasca, perché, credo, straconosciuta dopo il notissimo film televisivo di Alberto Negrin (dal racconto: “La banalità del bene” di Enrico Deaglio) di circa 10 anni fa. Allora, molto interessato all’episodio ed alla problematica sottesa, mi sono solo dispiaciuto – ed anche oggi ripensandoci - come la storia, la vera storia, possa uscire solo quasi casualmente, sulla scorta dell’intuizione di qualche bravo giornalista e, poi, del “conseguente” regista. E pensare che in Israele, patria del “Giardino dei giusti tra le nazioni”, sono finora già stati “piantumati” circa 4.000 alberi (in memoria di altrettanti salvatori di ebrei) di cui circa 450 italiani. Giorgio Perlasca è solo uno degli ultimi, ma per i precedenti 449 non si è detto niente. Perché ?

Per dovere di completezza si ricorda che nella tradizione ebraica il termine “Gentile giusto” indica i non ebrei che hanno rispetto per Dio, essendo Dio il termine di riferimento morale per tutti, anche per i “Gentili”, ossia i non-ebrei.. Sempre per completezza, si ricorda che l’attribuzione (israeliana) del titolo in argomento comporta il conferimento di una medaglia con il nome inciso, un certificato d’onore, il privilegio dell’incisione del nome nel Giardino dei giusti (Yad Vashem) e la piantumazione di un albero – spazio permettendo - nello stesso Giardino. Tale pratica indica nella tradizione ebraica il desiderio di ricordo eterno. Oltre ai benefici onorifici, i Giusti possono ricevere dallo Stato israeliano una pensione od un aiuto economico se in difficoltà finanziarie ed inoltre comunque la cittadinanza israeliana. A tutt’oggi, oltre 20.000 Giusti tra le nazioni sono stati riconosciuti (attraverso i Centri di Documentazione ebraica).

Non ci ho pensato finora da 10 anni. Solo che di recente, circa 1 mese fa, una pianta in memoria di Giorgio Perlasca è stata posta anche nel “Giardino dei giusti del mondo” di Terranegra (Padova). Su Internet ho poi trovato il cimitero di Maserà e da lì è scaturito questo breve intervento.




Paolo R.

6.11.08

lunedì 3 novembre 2008

INVOLUZIONE DI "SPACCIO"


Su Internet non c’è una definizione diretta di “spaccio”, ma solo un rimando ad “outlet”. Parola, quest’ultima, che non corrisponde a quella storica di “spaccio”. Sempre su Internet, nelle “Immagini” compaiono però 4 fotografie dello spaccio di droga.

E’ purtroppo questa l’accezione più moderna (e negativa) della parola in argomento. Non più punto di vendita a prezzi stracciati, accanto al luogo di produzione (“spaccio aziendale”, specie per i capi di abbigliamento); non più luogo di mescita a brevi soste e sempre a prezzi inferiori (spacci-bar delle caserme e delle comunità). Ma spaccio di droga e basta, ovverossia vendita di sotterfugio, con la speranza di non essere visti-individuati: passare quindi di mano (la droga), possibilmente di nascosto. Elemento della velocità, dunque! E’ questa, come si diceva poco sopra, la più moderna (purtroppo) accezione del termine “spaccio”. Ad oggi, solo usando quest’ultima parola, viene automaticamente alla mente il suo naturale complemento oggetto: “droga”. Ma se tanto si combatte il fenomeno dello spaccio (di droga), perché altrettanto non si fa per contrastarne gli acquirenti ? Se c’è vendita (spaccio) è perchè c’è corrispondente acquisto. Sembra troppo semplice.

Anche i miei amici Vocabolari, in successione segnano questo passaggio-"evoluzione" del termine “spacciare”. Nell’edizione del 1958 del Palazzi non c’è infatti nessuna traccia dello spacciatore di droga: “spacciare: 1) vendere; 2) divulgare...”. Il Nuovissimo Dardano degli anni ’90 è assai più ricco e, purtroppo, aggiornato: “spacciare = 1) vendere rapidamente e, per lo più, in grande quantità – il classico concetto storico, meglio definito che non nel Palazzi -; 2) mettere in circolazione sostanze, merci di cui è vietata la diffusione o anche denaro falsificato: s. droga; s. merce di contrabbando; 3)....”.


Come si vede ora, il nostro cammino ha toccato varie sponde: parole NUOVE (neologismi); parole (straniere) SOSTITUITE per legge (Legge 23.12.1940, n. 2042); parole IN VIA DI RIDIMENSIONAMENTO (Garzone); parole IN VIA DI ESPANSIONE (“spaccio”, qui).
A quando le parole estinte (arcaismi) ?? Si vedrà.

La lingua è un organismo vivo che registra tutti e 4 i fenomeni appena delineati. Un po’ più difficile delinearne l’ultimo.


Paolo R.

3.11.08

sabato 1 novembre 2008

OGGI, FESTA, NON COMPRO PROPRIO NIENTE !


Chiedo “Il Corriere della sera”. E’ già esaurito. Bene!. Chiedo allora “La Repubblica”: “1,50... c’è l’inserto”. Il mio è ancora un no. Devo (liberamente) decidere io quanto spendere per un certo prodotto, anche se di poco prezzo e non lasciare che sia il mercato a sopraffarmi.

Eppoi oggi ricorre la festa di Tutti i Santi e, per santificarla, al massimo accetterei di prendere il giornale quotidiano. Mannò, i supermercati sono aperti ½ giornata e sono anche piuttosto affollati. Segno solo che la gente trova comodo trovarli aperti. Questione di (poco) tempo a disposizione, indaffarati come sono a produrre negli altri giorni. Non invece questione di soldi, abbondanti, che scarseggiano invece per tantissimi e che non vengono certamente fatti moltiplicare dagli orari prolungati ed allungati. Ma non si pensa che, così facendo, si obbligano le povere commesse a lavorare ed a lasciare i figli qua e là nei giorni di festa. In tal modo, la società scade.Tante famiglie compromesse da altre famiglie pure compromesse. Non si tratta affatto di sposare ciecamente le tesi dei Presuli, ma di ragionare serenamente. Ma ai gestori-padroni interessa solo battere la concorrenza con sempre più ampia disponibilità all’apertura, innescando così un meccanismo del tutto perverso. Un gioco al massacro, senza lasciare alcun spazio ai valori sociali. Il Dio denaro imperversa sempre più. Ne vedremo presto le conseguenze.

Sono andato anch’io al supermercato, ma volutamente non ho comprato niente. Sono andato solo per chiaccherare ed anche se mi servivano i cachi, ho preferito astenermi dal comprarli. Mangerò le mele che ho in frigo.

Pensavo che, dopo le riforme degli anni passati, il 1° novembre non fosse più festa ed invece, controllando il calendario, la festa civile era ed è rimasta. Delusione ancora maggiore !


Paolo R.


1.11.08

venerdì 31 ottobre 2008

ANCORA AL LAGO DI GARDA


Qualche tempo fa narravo “Una giornata al lago” (di Garda). Ora ne ho passata un’altra, ma dall’altra sponda. L’altra sponda non in senso geografico, ma politico. Vi avevo anticipato che non mi sarei volentieri occupato di politica, ma di storia sì. Il confine, vedo io, non è troppo contornato. Lo storico, credo pure, è come un obiettivo fotografico: immortala ciò che è (indubbiamente) stato e lo presenta, astenendosi il più possibile dai commenti personali e dalle emozioni da egli provate.

E’ esattamente ciò che voglio fare ora a proposito della c.d. “repubblica di Salò” (Repubblica sociale italiana), svoltasi sulla bassa sponda bresciana di quel lago tra il 1943 ed il 1945. Era il rigurgito dell’ultimo fascismo (repubblicano), derivante dalle ceneri dell’omonimo regime ventennale (Mussolini non voleva cedere) e ripescante le idee degli albori (forse un po’ controversi) del primissimo fascismo. Non voglio qui fare lezione di storia a nessuno, Dio me ne voglia, né tanto meno fare della politica, ma solo richiamare una pagina volutamente tenuta nascosta per decenni (da chi ? e perchè ? proprio non riesco a spiegarmelo). Del resto, però, le tracce non si possono cancellare, neanche volendolo. Solo di recente si è tolta la classica foglia di fico e qualche “vestigia”comincia a riaffiorare. Così nei comuni di Salò, Maderno Toscolano e Gargnano. Qui, però, non si è ancora avuto il coraggio di segnalare turisticamente “Villa Feltrinelli” (ora albergo di superlusso), che fu sede della residenza privata di Mussolini nel suo periodo lacustre. Così come villa Orsoline (denominata oggi correntemente “Palazzo Feltrinelli” e non più come un tempo, appunto, “Villa Orsoline”), ex sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel biennio 1943-’45 (nella foto). Risulta però dalla mia visita che il Comune di Salò ha efficacemente provveduto a costituire un adeguato Centro Studi Documentazione Rsi e ad installare adeguata segnaletica turistica. E’ solo una prima tappa. Una visita nel territorio del circondario servirà certamente ad acquisire quanto meno un dato quantitativo sul fenomeno storico qui brevemente presentato.

Mi dispiace, ma il “mestiere” dello storico (del tutto immeritatamente, però, da parte mia) è proprio questo.



Paolo R.

31.10.08

lunedì 27 ottobre 2008

1940: SOLO PAROLE ITALIANE


Anglicismi, francesismi, germanismi (perfino), barbarismi. Nel 1940, il fascismo, per legge, considera antiitaliano l’uso corrente di quasi tutte le parole straniere fino ad allora impiegate nella società. Ritiene infatti “opportuno combattere l’incosciente servilismo che si compiace di parole straniere anche quando sono facilmente e perfettamente sostituibili con chiari vocaboli italiani già in uso”. Si tratta di una sorta di autarchia linguistica, che completa – negli ultimi anni del regime – la precedente autarchia economica.
Si sceglie, in forma assai dura, la via della legge: “Divieto di uso delle parole straniere nelle intestazioni (delle ditte) e nelle varie forme di pubblicità” (legge 23 dicembre 1940, n. 2042). In caso di infrazione – anche qui via dura - è previsto l’arresto fino a 6 mesi o l’ammenda fino a lire 5 mila, se non anche (per le attività soggette ad autorizzazione o licenza amministrativa) la sospensione o la revoca delle stesse (verificheremo, se possibile, in un prossimo momento l’incidenza di quegli interventi sanzionatori: statistiche amministrative e giudiziarie).
Ma il legislatore del ’40 era scivolato nella classica buccia di banana, tanto che due anni dopo – fascismo ormai morente – (Regio Decreto 26 marzo 1942, n. 720) – si dovette mitigare la portata della succitata legge, escludendo del tutto dal suddetto divieto - data la radicalità nella lingua italiana - le parole di origine latina o greca antica (art. 1)
Per la classica incompetenza oggettiva delle Camere (ed anche delle loro “Commissioni legislative”) se ne delega l’elencazione alla Regia Accademia d’Italia (art. 3) che nel suo successivo Bollettino provvede a fornire l’elenco dei forestierismi banditi, suggerendo, inoltre, gli alternativi termini italiani da utilizzare. (Si ricorda il notevole contributo che vi diede il grande lessicografo Alfredo Panzini, nella foto).

Si tratta di circa 500 parole “abrogate”, di cui di seguito se ne presentano alcune tra le più curiose., con l’avvertenza che esse toccano il mondo della famiglia-cucina (parole prevalentemente francesi), dello sport (prevalentemente inglesi) e del mondo produttivo e dei servizi. Di seguito ad ciascuna di esse (:) si elenca la corrispondente parola “italiana consigliata”.

brioche: brioscia; carrè (uso gastronomico): lombata; champagne: sciampagna; croissant: cornetto; cyclostile: ciclostilo; dancing: sala da danze; dessert: fin di pasto; embargo: divieto, fermo; extra-strong (uso cartario): extra-forte; film: pellicola; hangar: aviorimessa; krapfen: bombola; hotel: albergo; goulasc: spezzatino all’ungherese; menù: lista; stop: alt; toast (pane tostato): pantosto.

Principali parole (inglesi) nel mondo dello sport “abolite”: autogoal: autorete; bob: guidoslitta; bookmaker: allibratore; hockey: disco su ghiaccio; dribbling: scarto, scavalco; raid (aereo): transvolata; sprint: scatto; slalom (negli sports invernali): obbligata; tour: giro; trainer: allenatore.

Il fascismo si spinge oltre, modificando persino nella grafia (a parità di pronuncia) alcune parole: alcool: àlcole; bidet: bidè; bleu: blu; casinò: casino; cognac: cògnac; mansarde (mansarda): soffitta; marron (colore): colore marrone; marron glacé: marrone candito; seltz: selz; wafer (biscotto): vafer; walzer: valzer.

Ritocca persino due classicissimi termini storici dell’economia monetaria, che certamente largo uso non avevano nella società italiana: gold standard: base aurea; gold exange starndard: base di cambio aurea

NOTA: tralasciamo per ragioni di brevità, salvo riservarci di ritornare sugli studi linguistici specie in rapporto alla grandemente mutata (opposta) situazione attuale italiana.
DULCIS IN FUNDO: la lotta all'esterofilia prende le mosse da più lontano, se già nel 1928 a Milano, la squadra di calcio dell'Internazionale (attuale Inter) fu "comandata" di chiamarsi "Ambrosiana".
Così, sulla stessa linea anticipatrice della lotta all'esterofilia stessa, nel 1933 la rivista femminile "Lei" (che ricordava un francesismo) fu costretta a mutare nome in "Annabella", come tuttora sopravvive.
Paolo R


26.10.08
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giovedì 16 ottobre 2008

L'INTERESSE PIU' ALTO E' QUELLO DI TUTTI



Mi ha profondamente colpito questo slogan trovato ieri mattina alla Banca Etica di Padova. Me ne sono fatto subito dare un depliant per memorizzare meglio. Credo che gli slogan abbiano la forte caratteristica di colpire concisamente. Non tutti ne sanno trovare, nemmeno gli Autori più famosi. I maghi, in questo campo, credo siano i pubblicitari. Mi ricordo ancora bene, dopo 40 anni, quello a proposito di una nota marca di lavatrice italiana: “Tecnica sì, ma con sentimento!” Mi basta fermarmi qua. Nel campo letterario mi vengono invece in mente quelli del Manzoni: “Del senno di poi son piene le fosse”; “Il diavolo non è così brutto quanto lo si dipinge”; ed altri. Ma, credo, insuperati di tutti i tempi siano i classici latini, letterati o giuristi: “Ubi major minor cessat” (nel primo caso); “Ad impossibilia nemo tenetur” (nel secondo).

Ma torniamo a noi, cioè alla Banca etica che, secondo me, ha egregiamente coniato il suo slogan (titolo di questo post-blog), E’ la prima volta, credo, in cui il mio incipit risiede esattamente nel titolo. Di solito, se vi ricordate bene, facevo il contrario, con uno sviluppo a cascata.
Io però non sono andato in Banca Etica attratto dallo slogan. Me lo sono trovato lì, quando già stavo facendo quello che avevo deciso di fare. A differenza di TUTTE le altre banche commerciali, essa fa decidere al sottoscrittore la destinazione dei suoi investimenti: sociale, terzo mondo, cultura, ambiente. Così, si sa dove si va ad incidere. Era un bel po’ di anni che l’avevo pensata, ma ancora non mi ero deciso. Credo che la molla sia stata costituita da un casuale breve incontro con un suo dirigente: “Dopo il caso della Banca americana Lehman, si va registrando un afflusso massiccio verso la Banca Etica “. Evidentemente la gente sta dimostrando di voler pensare non solo al suo specifico “livello del tasso di interesse”, ma anche “all’interesse di tutti”.

Paolo R.


16.10.08

sabato 11 ottobre 2008

LA CHIAVE DI RICERCA NON ERA PROPRIO NECESSARIAMENTE FRA' GALDINO


Da anni (annorum) citando il mio caro amico Alessandro Manzoni (“I promessi sposi”), ripetevo, a chiunque, spesso, “... come il mare che riceve acqua da tutti i fiumi e la ridà a tutti i fiumi”. Era questo un mio intercalare piuttosto frequente, peraltro usato a proposito. Vi sono però due errori fondamentali nella mia citazione, come si vedrà un po’ dopo.

Stamattina al Museo, parlando con il mio amico prof. Dino (lettere e storia) e citando ancora una volta, a mio modo, il passo, mi disse: “si tratta di fra Galdino, il padre cappuccino cercatore di noci, alla casa di Agnese-Lucia”. Era vero. Tante volte mi ero ripromesso di andare in cerca nell’opera cartacea (innamorato come sono del Manzoni): pigro, avevo però sempre rinviato ad occasione più propizia.
Non essendo affatto un fanatico di Internet (mi piace l’aforisma: “Meno Internet... più cabernet!”), non credevo che, digitandovi sopra, pur con i due errori di cui sopra, avrei ugualmente trovato l’esatto passo. I due errori, corretti, erano: 1) NOI (frati cappuccini) siamo come il mare...; 2) “che riceve acqua da tutte le PARTI...”. Ma come sanno i più fanatici di Internet, tali errori sono facilmente eludibili! Io invece non lo sapevo e non avrei perciò creduto che Internet mi avrebbe dato ugualmente il risultato sperato. Perciò ero restio a provare. A maggior ragione, con le informazioni (aggiuntive: fra' Galdino) del professore succitato, tramite lo stesso Internet ho raggiunto subito l'obiettivo.

Mi piace che fra Galdino si sia riferito ai Cappuccini e mi ha fatto piacere leggere quel bel passo del capitolo III. Credo che il Manzoni sia ancor oggi insuperato, anche se viene boicottato persino da certi Licei che gli preferiscono autoretti moderni e di poco conto. Ne nasce uno al giorno... compreso il sottoscritto.
Sarà stata una pura coincidenza, ma oggi ho visitato la bellissima mostra di Federico Maggioni sui personaggi de "I promessi sposi" alla Galleria di P.zza Cavour di Padova e la consiglio vivamente a tutti. Così, il mio amico Alessandro mi piace ancor di più !


Paolo R.


11.10.08

Paolo R.

martedì 7 ottobre 2008

LA FEBBRE DEI FARMACI



Non ho la febbre, ma forse sta per venirmi come ogni volta che vado al Supermercato. Lì hanno un bel da fare per mascherare il continuo aumento dei prezzi. Appositamente predispongono allettanti gigantografie: “Noi abbassiamo i prezzi”. E’ solo scritto, ma non applicato. In realtà i prezzi vanno all’insù in mille modi. Tra cui la riduzione delle confezioni.
Non ho la febbre del sabato sera di John Travolta, perché me ne resto cheto cheto a casa mia da sempre. Non ho visto il film “La febbre dell’oro” del 1925 (C. Chaplin) perché non ero ancora nato.

Ma, anche se non ce l’ho, la febbre mi viene ogni volta che vado in farmacia. Anzi, mi viene molta rabbia-delusione a leggere quei cartelli fuorvianti: “Abbassiamo la febbre dei farmaci con i prodotti equivalenti”. Lì per lì, avrei un po’ di fiducia, ma la febbre mi viene poi, scoprendo che con le scadenze dei brevetti registrati (liberalizzazioni), il prezzo dei farmaci diminuisce di soli pochi centesimi alla confezione. Dunque quei cartelli sono un vero e proprio "imbroglio", perché fanno (inutilmente) sperare in diminuzioni più sostanziose. Con buona pace delle varie lobbies.
Ultime osservazioni: 1) Oggi in farmacia si va con la borsa della spesa; ciò significa che il consumo farmacologico è aumentato esponenzialmwnte. Perché? 2) Moltissimi medicinali finiscono nella pattumiera posta davanti alle farmacie: a quando le quantità monouso, tante volte promesse (leggi ancora: lobbies) ? 3) Ancora. Che senso ha avere a disposizione il bancomat proprio in farmacia ? 4) I farmacisti sono sempre più chiamati a fare gli impiegati-ragionieri (libretti, ricevute fiscali, detrazioni, ecc) e sempre meno i "farmacologici". Ho l'impressione, come dicevo moltissimi anni fa, che non si tratti più di "farma - cisti", ma di "commessi laureati".


Paolo R.


7.10.08

sabato 4 ottobre 2008

MUTUO SI', MUTUO NO !


Alcuni amici mi hanno invitato ad essere più concreto e meno teorico. Ma la concretezza porta inevitabilmente alla politica, dalla quale - pur essendomi facilissimo trattare - voglio restarmene in disparte. Tuttavia, a puro titolo di assaggio, voglio qui ora lumeggiare qualcosa, memore del mio precedente lavoro e dell’esperienza personale, Lo voglio fare, soprattutto alla luce delle esperienze negative americane (Lehman), che rischiano di produrre un effetto domino anche sulle economie degli altri Paesi occidentali, dati gli stretti legami finanziari delle principali banche europee.

Pur in un reticolo assai complesso e ramificato proprio dei mutui nostrani, preferisco tenere separati i vari aspetti che li toccano.

DOMANDA/OFFERTA: ai miei tempi era l’aspirante mutuatario che andava in cerca della banca che potesse/volesse finanziarlo e spesso la ricerca non era né breve né facile. Oggi siamo rimbalzati, quasi all’improvviso, nella situazione opposta: è la Banca che in tutti i modi cerca un qualsiasi aspirante mutuatario, del tutto indipendentemente dalla sue reali condizioni di finanziabilità. Troviamo pubblicità di istituti finanziari anche in TV, nei manifesti murali e nella cassetta della posta. Si va certamente verso uno scadimento della bontà delle operazioni (rimborsi) in quanto vi “incappano” anche i clienti marginali (con poco potere economico). Che dire poi della sconsideratezza di offrire il finanziamento anche ai “protestati”: chi, in fondo, pagherà per loro ???

GRADO DI COPERTURA: sempre nel tentativo di farsi acerrima concorrenza, gli istituti bancari arrivano a finanziare anche il 100% del costo totale (comprese le spese notarili e fiscali), mentre una volta era richiesta una disponibilità propria dell’aspirante mutuatario pari almeno al 15-20 % del costo totale (spese registro e notarili in più). Anche questo un comportamento negativo, specie sul fronte dei clienti sopraddetti marginali


TASSO FISSO/VARIABILE.: sono sempre stato per il tasso fisso, per ragioni generali, in quanto non ho mai creduto in un futuro riapprezzamento della lira in sede internazionale. Lo stesso dicasi per i vecchi mutui in ECU (principali divise europee), che hanno trovato consenso-richiesta solo per un limitato spazio biennale. Ne sanno qualcosa i debitori che erano stati ben più ottimisti di me. Un inciso: di fronte allo schizzare sempre più all’insù dei tassi variabili, il marketing bancario ha, già da qualche tempo addietro, escogitato la formula ‘vincente’: “a rata costante”, mentre solo gli addetti ai lavori capivano perfettamente che, corrispondentemente, si allungava la durata del mutuo. Forse che quando vai nella cassa da morto, ti riduci a lasciare in eredità NO una bella casa, ma una bella RATA di mutuo. E’ questo un modo surretizio di scaricare oneri-pesi sulle generazioni future
Non ho ancora risposto alla domanda principale sottesa: mutuo fisso o variabile. Ma non sono qui in grado di dirvi molto, in quanto mi risulta che spesso non è lasciata alcuna scelta al riguardo all’aspirante mutuatario.


AFFITTO/ACQUISTO: sta in questo (ultimo) aspetto il nodo principale del problema. Gli affitti sono troppo cari, ma gli acquisti non lo sono di meno. Le case vanno sempre più restringendosi di spazio e lievitando di costo. I redditi vanno sempre più sgonfiandosi. Siamo ormai arrivati quasi al rapporto 1:1 tra redditi e rata di ammortamento (o, alternativamente, affitto), se non ancora peggiore. Chi si potrà ricordare dei giovani che debbono mettere su famiglia ? Non certo la classe politica governante/opposizione e nemmeno gli incontrollati “palazzinari”. Restiamo solo noi genitori con quello che ci è rimasto!.

DURATA: segno di scadimento anche la sempre più lunga durata. Anche 40-50 anni. E’ una bella vergogna. E’ semplicemente una mascheratura dell’insostenibilità del sistema a lungo termine. Prevederei una serie di crack (rate impagate) che, continuando così le cose, porteranno alla bancarotta dell’intero sistema creditizio italiano. Specie in regime di tasso variabile: non si potrà prevederne il reale livello con 40 anni di distacco. Se poi aggiungiamo, in questa fattispecie, la formula suddetta della “rata costante” (ma a durata prolungata), si va ben oltre la stessa speranza di vita degli aspiranti mutuatari, a fronte di un sempre più ritardato loro effettivo inserimento nel mercato del lavoro ?

A quando avrà deciso di scomodarsi la Banca d’Italia ? Siamo ormai in forte pericolo, ma si continua a giocare... al massacro ? E se le banche dichiareranno fallimento (rate “marginali” impagate), che ne sarà dei loro depositanti? Si fa presto a dichiarare fallimento... tanto incisi restano solo i terzi! Speriamo anche i palazzinari.

Paolo R.

4.10.08

martedì 30 settembre 2008

SENZA TITOLO (vedi in calce)


Oggi voglio parere per la prima volta piuttosto macabro. E’ una libera scelta. E’ anche questo uno dei tanti aspetti della mia piuttosto poliedrica personalità. In realtà, tutti la abbiamo un po', anche se i più cercano di non farla trasparire. Solo i veri artisti (ed i presenti tali) non lo nascondono.

“Il (ggmm) é improvvisamente venuto a mancare all’affetto dei suoi cari (‘NOME COGNOME’)/ anni xx...”

Ma siamo sempre proprio sicuri che questo “affetto” esisteva davvero ? O piuttosto i “suoi cari” da tempo non aspettavano altro, che dividersi l’eredità o cose del genere ?
Qui ci vorrebbe solo Pirandello, perché ha egregiamente saputo, solo lui, scavare in profondità proprio negli elementi più semplici dell’animo umano, come nei fatti apparentemente più superficiali della vita.

Continuiamo pure nell’epigrafe standard: “Lo annunciano con profondo dolore la moglie/marito, i figli, ecc.” E giù il lungo elenco di parenti, a cascata, fino alla terza generazione ! Ci sarà davvero questo “profondo dolore” o, a volte, si tratta solo di una lungamente mal celata aspettativa di liberazione ?

Se poi vai alla messa funebre, il povero prete è quasi costretto a mettere di più l’accento sulle (poche) cose buone fatte dal defunto rispetto alla realtà più fotografica. Quasi una sorta di viatico !

Mi ha fatto sempre sorridere – ma qui viene proprio buono – il vecchio detto padovano: “Co i nasse, tuti bei / Co i xe sposa, tuti siori / Co i more, tutti boni”!

Recupero un aforisma del mio amico Sergio Contin di P.S.N.: “FALSO COME NA PIGRAFE!”


Paolo R.

30.9.08

"RIVAI, PER OGGI, NELLA TUA BENEDETTA BOTTE!"




“Vai, per oggi, nella tua benedetta botte!” (Diogene – “RIVOGLIO LA MIA BOTTE”), mi ha appena sparato, sorridendo un po’, mia moglie. Inavvertitamente aveva staccato un filo della ormai pluriennalmente dismessa filodiffusione (lavori di pittore in corso in casa) ed anche il collegamento Telecom-ADSL era improvvisamente ed inesorabilmente caduto..

Della filodiffusione i più non sapranno niente o quasi niente. Fino agli anni ’70-’80 era invece un servizio supplementare collegato al telefono, di poco prezzo, pur se ritenuto utile. Non c’erano ancora le radio locali private che trasmettessero musica. Così, specie i negozi, la utilizzavano ampiamente perché con buona fedeltà ritrasmetteva i 3 canali radiofonici, più un quarto canale di esclusiva e continua musica leggera ed un quinto di continua ed esclusiva musica classica. Dai più era preferita la leggera. Nelle case, invece, la classica. I giornali TV ne riportavano anche la programmazione. Ebbe un certo successo anche, come detto, per la veramente trascurabilità della spesa (per i privati certamente). Poi, con l’avvento delle radio locali libere (anni ’80) se ne ebbe un progressivo e definitivo abbandono. Non se ne parlò più, semplicemente come altrettanto improvvisamente è capitato di non sentire più parlare di vari personaggi politici Di quella musica esisteva naturalmente un apposito apparecchio “lettore” (come si dice adesso), della grandezza di una radio, ma non mi ricordo se fosse esattamente anche diffusore o solo amplificatore.

Per tornare ad oggi (posso dirvi che già qualche tempo fa la persistente presenza del filo della filodiffusione ebbe a dare qualche noia agli impiantisti della Telecom)., qualcuno prese improvvisamente la decisione di strapparlo, erroneamente convinto della sua assoluta inutilità. RISULTATO: telefono e linea Internet MUTI: risolveremo magari domani.

Per intanto devo rinunciare a fare le ricerche che mi ripromettevo di fare in Internet, avendo le altre stanze (dove ci sono i moltissimi miei Vocabolari) in subbuglio (pitturtazioni in corso, come detto più sopra). Meno male che il computer (Word) funziona perfettamente, così posso immagazzinare oggi e domani trasmettere..

In conclusione, si potrà andare anche a stare nella botte, ma per libera scelta e non per costrizione... tecnica o personale di altri. Mi viene in mente - per analogia – la nonna, all’ospizio dei poveri di Firenze negli anni ’30 (film – foto - “Cronaca familiare” da Vasco Pratolini, di Valerio Zurlini), a cui era stato lasciato di tenere sotto il letto l’urinale. Se ce lo aveva, non si alzava minimamente dal letto; ma se NON ce l’avesse avuto, si sarebbe alzata 3-4 volte durante il sonno. Effetto placebo. La botte non potrebbe mai per me diventare una botte-placebo. Grazie dell’attenzione.


Paolo R


30.9.08

domenica 28 settembre 2008

ASPETTANDO...I LIBRI




Internet è sempre più bravo. Digito solo “aspettando” e mi presenta, subito, aspettando “Godot”. Non mi interessa cosa sia esattamente. Mi è venuto in mente il suo inizio “aspettando...”, perché anch’io sto aspettando qualcosa. Da più domeniche aspetto, purtroppo finora inutilmente, la ricomparsa della trasmissione televisiva: “Per un pugno di libri”, di cui ho certamente, già da tempo, avuto modo di dissertare. E’ uno dei due SOLI appuntamenti televisivi cui mi sottopongo volentieri settimanalmente.

Si tratta di una trasmissione profondamente educativa che, nelle gare tra due ultime classi di liceo, mette in palio libri e non soldi: i punti vinti si traducono in altrettanti libri di narrativa. Fa piacere vedere ragazzi di poco meno di 20 anni ancora dediti alla lettura delle opere di narrativa, italiana in particolare. Fa piacere sentire come molti di essi si cimentino abitualmente nel suono di strumenti musicali, nella recitazione teatrale ed in altro. Fa piacere sentire come parlino bene dei loro insegnanti-educatori e del preside. Fa piacere sapere che alcuni di essi sono impegnati nella redazione del giornaletto scolastico. Un plauso anche ai superiori (insegnanti-preside) che gli consentono di prepararsi adeguatamente (permessi di esenzione dalle lezioni più prossime) e, quindi, di partecipare alla trasmissione televisiva.

Non so chi sarà il conduttore di quest’anno, spero ancora nel bravissimo (imitatore), soft, Neri Marcorè (nella foto). Se non sarà proprio ancora lui, confido in un suo DEGNO successore. Novità certamente ce ne saranno rispetto all’anno scorso. Speriamo solo migliorative.

Voglio concludere, ancora una volta, leopardanianamente:
“Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave”



Paolo R.

28.9.08

sabato 27 settembre 2008

APPUNTAMENTO 1/4 D'ORA DEL SABATO POMERIGGIO



Recentissimamente, variando l’”oggetto sociale”, ho inserito anche la teologia. E’ perciò un impegno che mi sono liberamente preso ed a cui ho già dato pronto av-vio (“1 EURO A CIASCUN VIGNAIOLO”).
Non intendo però ora proporvi un’altra bella parabola, certo che non manche-ranno altre future occasioni. Intendo ora parlarvi di una brevissima trasmis-sione televisiva (15 minuti soli) che va in onda ogni sabato pomeriggio, alle 17,30 su Rai 1. La conduce splendidamente il padre cappuccino Fra Rainiero Cantala-messa (nella foto) e non la presenta meramente a tavolino, ma con stimolanti servizi esterni. Illustra il Van-gelo della domenica successiva. Padre Raniero è una persona molto colta sia in temi teologici, che generali. E’ molto sereno, suadente e convincente. E’ precisamente serafico.

Da circa 2 anni lo seguo immancabilmente ed il suo appuntamento televisivo è per me diventato una piacevole scadenza settimanale. In questa società materialistica, consumistica, ingiusta ed arrogante, credo che un po’ di riflessione non guasti a nessuno, sia esso credente, semi o meno. Si tratta di un intervento a doppia valenza: religioso-antropologico, di cui tutti abbiamo estremo bi-sogno.

Nel passato si è avuto occasione di “visitare” le basiliche di Roma, le chiese rupestri della Cap-padocia, le chiese cristiane del Medio Oriente: congiuntamente lezioni di storia e di storia dell’arte. Penso di aver detto abbastanza e vi invito a “tentare” almeno 1 volta.

Paolo R.

27.09.08

venerdì 26 settembre 2008

ALLA SCUOLA SOLO LE BRICIOLE


Giusto solo ieri mattina, in Via Altinate mi sono imbattuto in una giovane signora, elegantemente vestita, in bicicletta. Mi ha colpito perché, in sosta sul marciapiede, stava tranquillamente conver-sando al cellulare ed ho sentito perfettamente: “Quest’anno al ragazzo abbiamo comprato solo libri usati!”. La frase, che mi ha assai colpito data la ricercatezza nell’abbigliamento della medesima signora, merita certamente qualche estemporaneo commento.

PRIMO: i testi scolastici, è vero, risultano piuttosto onerosi per la generalità delle famiglie, in parallelo allo spinto allargamento dei livelli di scolarizzazione. La scuola è infatti vista soprattutto quale unico veicolo di promozione socio-economica, più che mezzo di acculturazione. Ma, se ne vedrà più in là nel tempo, non sempre la realtà futura seguirà di pari passo. Forse invece in molti casi sarebbe preferibile (e più vantaggioso anche economica-mente) un più pronto inserimento lavorativo.

SECONDO: la classe politica, in forma strisciante (larvata e subdola) ha adottato una politica di scolarizzazione di massa fino ai gradi universitari (lauree brevi e specialistiche). Il VERO scopo risulta assai recondito ! Non vorrei che si trattasse di un mero palliativo, con la sola conseguenza di spostare i problemi 5-10 anni in avanti (ad ALTRA classe politica ?)

Ciò premesso torniamo ancora, per concludere, alla ciclista di Via Altinate. Non mi è sembrato, per i motivi che ho detto più sopra che il suo (apparente) status di borghese avesse, da solo, impedito l’acquisto di libri NUOVI di zecca. La apparente contraddizione deve perciò essere meglio sviscerata. Ai miei tempi solo pochissimi ragazzi ricorrevano ai libri usati: non era di moda. Oggi, pur in presenza di un certamente maggiore benessere (a parte le crisi contingenti) l’acquisto del libro usato sembra prendere prepotentemente piede.

Oggi persino alcune librerie si sono specializzate nel libro usato. Ma il relativo commercio viene, si badi bene, a monte alimentato da chi i libri glie li cede, solo per recuperare cifre irrisorie (15-20% del prezzo di copertina). E’ – si badi bene – anche questo un indice di grave disaffezione al libro. Una volta se li conservava, in sancta sanctorum, anche per decenni. ORA li si cede non appena possibile.

Si è, in altri termini, rinunciato a credere nel valore complessivamente formativo della Scuola, delegando questa delicata e strategica funzione alla TV, ai video-giochi, ai telefonini, ecc. Con la naturale conseguenza di avere tanti dottori e poca domanda corispondente.


Paolo R,

26.9.08

martedì 23 settembre 2008

DAL DIVANO AL DIVANO


Nella (modesta) rassegna delle parole desuete che mi sono riproposto di immodestamente illustrare, volevo cominciare dalla OTTOMANA di cui probabilmente i più giovani non hanno mai sentito parlare. Si tratta di una sorta di divano con spalliera MOBILE e, perciò, facilmente trasformabile in letto (Dizionario Italiano Ragionato, DIR). Deriva certamente dall’Impero ottomano, poi dal francese ‘ottomane’. Nelle nostre case di metà secolo scorso erano assai frequenti ed anch’io ne avevo una, che, data la mancanza di cuscini, più propriamente, lo chiamavamo astico (=elastico). La foto in alto a six ne ripropone però una con bassa spalliera fissa. Altro non si è trovato. Assolveva quindi, intercambiabilmente, alla doppia funzione del divano e del letto. Noi occidentali, elaborando le due idee originarie, siamo perciò, più tardi, arrivati al divano-letto.

Sempre del tutto abbandonato nell’arredamento delle nostre case anche il SOFA’, già più raffinato, sempre un tempo, della suddetta ‘ottomana’. Anche questo deriva dal medio oriente (‘suffa’ in arabo vuol dire ‘cuscino’; passato poi al francese “sofa”) (Dizionario italiano, Tullio De Mauro). Di foto non possiamo proprio proporvene, pur avendo ampiamente ricercato anche nell’ “Enciclopedia degli stili” della Mondadori. Perciò solo una concisa definizione: panca con cuscino (DE Mauro stesso)
“C’era una volta un Re seduto sul sofà, che disse alla sua bella: Raccontami una storia. E quella incominciò”: “C’era una volta un Re.....”. Era stampato tutto intorno all’ombrellino trasparente di mia figlia Serena 25 anni fa !!!!. Con un po’ di sforzo mi è venuto in mente!

Della stessa famiglia delle parole di arredamento, desuete, anche il CANAPE’ che, stavolta, viene direttamente dalla Francia del Settecento e che può essere definito come sorta di divano imbottito, lungo e stretto, con braccioli. Il suo percorso è molto curioso: greco (konopos = zanzara), latino (conopeum), francese (canapé). La “zanzariera” di cui poco sopra, con un passaggio semantico non del tutto chiaro, denota il passaggio DA zanzariera A letto con zanzariera, come pensa il Battaglia (ma resta da dimostrare che il “canapè” fosse un letto con zanzariera) (il nuovo Etimologico Zanichelli).

Solo per completezza di sviluppo temporale, perché si tratta questa volta di parola ultramoderna non affatto desueta, curiosi, ci siamo detti: come verrà definito dai Vocabolari il nostro DIVANO!? Mi aspettavo una descrizione del tutto modernista ed, invece con grande sorpresa siamo stati ributtati ancora una volta tutti all’indietro nel tempo. Divano, infatti, dal turco “divan” (a sua volta dal persiano “diwan”) significa semplicemente “SALA DEL CONSIGLIO DI STATO”, perchè i Ministri dell’Impero ottomano sedevano, nella relativa sala, all’orientale, su cuscini disposti lungo le pareti (“La riunione del gran divano").

Ancora una volta non abbiamo inventato niente dal nulla. Come dice l’Ecclesiaste: “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole”.


Paolo R.

23.9.08.

lunedì 22 settembre 2008

GITA A VOLPARO


Non è lontano da Padova, circa 12 km., ma finalmente l’ho trovato quasi per caso. Si andava a Polverara a carne di cavallo per ricordare la recente gita in Corsica. 40 persone in tutto. 15 macchine. Siamo passati per Legnaro e poi a dx (venendo da Padova). Ad un certo punto mi trovo sotto il cartello: “VOLPARO – frazione di Legnaro”. Il mistero, che mi durava da circa 40 anni, si è improvvisamente svelato. Dopo annose ricerche precedenti lo avevo finalmente trovato. Esisteva davvero! E’ ad un tiro di sasso da Polverara, alla sue porte. Ed anche su Internet è presente (vedi la sua antica chiesa nella foto qui in alto a sx). L’avevo ricercato, sempre a caso, da tutt’altra parte in precedenza, senza ovviamente mai riuscire a trovarlo.

Perché ci tenevo tanto ad individuarlo fisicamente? Beh, perché vi insegnava oltre 40 anni fa come maestro elementare un importante giornalista di Padova, Memo Orati, cui ho già dedicato oltre 10 anni fa uno dei miei riuscitissimi “Pezzetti”, che riporto pari pari: “Memo... era tante cose: maestro, giornalista, pubblicitario, sindacalista, generoso offritore al bar, intrattenitore. Mi ha voluto molto bene e mi ha dato ‘importanza’ (ero giovanissimo allora). Ma voglio proprio dirglielo a chiare lettere, con i suoi ‘incarichi’ (lautamente retribuiti) mi ha dato la possibilità di affrontare certi oneri. Glie ne sarò sempre grato. Non conta se poi con gli anni i nostri rapporti si sono un po’ raffreddati. Cose che capitano”.

Era un vero organizzatore: di giornali, di tipografie, di convegni, di congressi, di Albi sindacali ed anche, a suo modo, un gran casinista. Aveva avuto, dopo la 600, una delle prime 850. Affrontava le assai numerose multe per divieto di sosta (500 lire) con molta serenità e ne appendeva i bigliettini gialli con uno spillo sull’armadio della redazione. Lo stipendio di maestro gli serviva solo per la macchina, il bar e le bianchissime Kent che abbondantemente fumacchiava, gettandole a metà.

Perché sia sempre rimasto ad insegnare in quella (soprattutto allora) sperduta sede di Volparo, restò per me a lungo un intricato mistero. Lui che muoveva (NON rimuoveva, ma faceva arrivare all’occorrenza ai suddetti Convegni a Recoaro Terme) il DG della Rai-Tv (Willy De Luca), lui che poteva disporre di Ministri e Sottosegretari con la massima disinvoltura, se ne stava mogio mogio a Volparo. Ne aveva anche dei grossi vantaggi, potendo, in realtà fare PRINCIPALMENTE il giornalista ed, in subordine, l’insegnante elementare. Una pacca sulle spalle al (povero) suo Direttore didattico ed il permesso era accordato.
Erano altri tempi allora sia nella scuola che nella società in generale, di più improntati ai rapporti umani. Anch’io ho spesso modo di rimpiangere quei bei tempi andati.


Paolo R.


22.9.08

lunedì 15 settembre 2008

ANDARE A CICCHE


Stamattina ho visto una scena che non vedevo da oltre 50 anni. Un uomo - poi forse vi dirò chi - stava “andando a cicche”. Dovrei dire a ciche (in buon dialetto padovano), ma preferisco stavolta - per ragioni di opportunità - usare il buon italiano, cui del resto direttamente rimanda il Vocabolario Veneto-Italiano di GF Turato-D. Durante. La parola italiana (da cui il termine veneto, appunto), deriva - pare -dal francese (chique). La parola stessa ha tre significati distinti, ma simili. 1. Mozzicone di sigaro o di sigaretta. 2. Cosa di nessun valore (volutamente abbandonata). 3. Una persona che non vale nulla.

Restando al solo primo significato, e venendo a Padova, mi ricordo – bambino – un vecchietto vicino ai paracarri (ora non ci sono più) di Piazza Capitaniato (Scavessà) che raccoglieva tutte le cicche che vedeva per terra. E se le poneva dove non ricordo più. Forse in tasca. Era un assolato pomeriggio estivo e per la strada non c’eravamo che lui ed io. Sapevo già che il motivo di quella “raccolta” era la sua estrema povertà. Allora i poveri c’erano e non se ne vergognavano. Oggi i poveri ci sono ancora certamente, ma sotto ... mentite spoglie. Oggi si soffre la povertà...più in silenzio...nell’intimità.

Col tempo, quei poveri si affinarono un po’, procurandosi - per non calarsi continuamente a terra - un bastone con un chiodo in punta: il lavoro sarebbe stato molto più facilitato. Anche oggi gli operatori dell’Azienda della Nettezza Urbana, per raccogliere cicche, carte e cartine, fanno uso di un tale principio (per non spezzarsi la schiena). Solo che usano un bastone metallico (non più un manico di scopa) con un congegno a presa-molla.

Se dopo oltre 50 anni si è tornati ad andare a cicche, vuol dire che la povertà non è stata ancora sconfitta. Comunque di questa tipologia di poveri oggi non se ne vedono più tanti come un tempo. Come mai ?

Forse l’analisi vi sembrerà un po’ troppo affrettata, ma ho mantenuto la promessa di scrivere fatta solo mezz’ora fa al mio amico Michele F.


Paolo R.

21.8.08




GLOSSARIETTO

1) A ben ricercare su 4-5 vocabolari, la radice della parola muta un po’. Tutto si rifà NON già al francese od ad altre lingue derivate dal latino (spagnolo: chico, italiano: cica; vallone: chiche; piccardia: chike; .....), come citano anche Vocabolari importanti, ma direttamente al latino come si vedrà al nr. 3 più sotto.

2) Tutto si riconduce - in termini generali – a cosa di nessun valore, in quanto troppo piccola per essere continuata ad utilizzare. Si pensi al mozzicone di sigaretta o di sigaro già fumati e buttati via. C’é però qualcuno che può andarli a raccogliere: il ciccaiolo. Questa parola è però del tutto sconosciuta nella lingua veneta ed è sostituita dalla vecchia espressione: “andare a cicche”. Anche Celentano, nella sua nota canzone “Sono simpatico”, invoca che per la sua ragazza (lui) non è che “una cicca... l’avanzo di una sigaretta fumata....”.

3) L’etimo corretto della parola CICA (con una C sola) proviene dunque (direttamente) dal latino ciccum = membrana che circonda e divide i chicchi della melograna (il frutto del melograno, dunque di genere femminile), di cui il volgo raddoppia la consonante C (CICCA), nel senso – come sopra detto – di cosa di poco valore (Nuovissimo Dizionario Palazzi, ediz. 1959).

4) Resta la curiosità di come la lingua latina si sia” scomodata” per dare un nome a quel qualcosa di nessun valore (consulterò al riguardo un agronomo-storico). Mi pare sia come parlare, in puro padovano, de ea pee dell’ajo. (!).



Per completezza di informazione, si precisa che:


secondo il NUOVO DIZIONARIO ETIMOLOGICO (Cortellazzo-Zolli):- nel dialetto milanese, cicca riguarda (semplicemente) il tabacco da masticare;
- ciccaiolo: chi rivende le cicche: non tanto chi le raccoglie (come detto più sopra).


Per completezza ancora maggiore, ci siano consentiti 2 ulteriori punti:

- CICA (con una C sola) rimane confinata alla traduzione della voce americana chicle (= gomma da masticare a forma di confetto), traduzione di lattice. ( A completamento: chew = masticare, ruminare.). Ma, secondo il NUOVISSIMO DARDANO. l’uso americano deve rifarsi all’atzeco: chicti). Vi piace ? A me sì !

Solo apparentemente strana la stessa derivazione di cicchetto, avendo doppio significato:
1) bicchierino (PICCOLO bicchiere) di liquore. Dal piemontese cichet = contenuto di un bicchierino. A sua volta dal provenzale chiquet (bicchierino).

2) Rimprovero, ramanzina, rabbuffo..Bellissimo il collante tra 1) e 2) utilizzato dal Cortellazzo-Zolli. Non possiamo non che riportarlo integralmente: “il significato di ‘rimprovero’, diffuso dapprima nell’ambiente militare, deve essere nato nelle caserme così: chi veniva chiamato in disparte dal superiore per una strigliata, sarà tornato riferendo scherzosamente ai colleghi che il capitano (o chi per esso) gli aveva dato un cicchtetto: e cioè offerto da bere !”.

MOLTO CURIOSA LA SPIEGAZIONE




Radice del tutto autonoma, invece, per la ATTUALE parola :
CICA (con una C sola) che rimane confinata nella traduzione della voce americana chicle (= gomma da masticare a forma di confetto), traduzione di lattice. ( A completamento: chew = masticare, ruminare.).


15.9.08


Paolo R.

domenica 14 settembre 2008

1 EURO A CIASCUN "VIGNAIOLO"



Mi è venuto in mente, all’improvviso, di “lavorare” su una serie di brevi, analoghi, episodietti capitatimi a caldo la mattinata di due giorni fa. Ed ho subito, freneticamente, mantenuto la promessa.

In Via Eremitani c’era (c’é sempre) una buona e calma vecchietta che, rannicchiata per terra e sempre vestita di nero, chiede l’elemosina emettendo dei sussulti di vocina. Di solito le do qualcosa, ma da qualche tempo ho elevato il suo compenso. Stavolta mi è capitato dalla tasche la bellezza di 1 euro e glie l’ho dato senza indugio. Con un “caro... bello...” e mandandomi il solito prolungato bacio, mi ha ringraziato (come sempre) per la mia (relativa) generosità. Sapete, non tutti le danno 1 euro in un colpo solo.

Vado a prendere un ricco aperitivo, seduto comodamente al tavolino di fronte al Conservatorio lì accanto. Conclusa l’operazione, vado per recuperare la bicicletta, ma un vecchio barbone, con il cappellaccio in testa, anche se é ancora piuttosto caldo, mi si affianca, senza – in verità – chiedermi nulla. Gli do egualmente 1 euro. Quella mattina avevo infatti in tasca solo pezzi da 1 euro. Il suo è il ringraziamento (visivo) di chi proprio non se lo aspettava minimamente. Un largo sorriso fuoriesce da quella barbaccia grigia, lunga, incolta e molto appuntita..

Ho fatto proprio tardi e devo svolgere almeno una delle due commissioni che mi sono ripromesso. Vado dunque dal barbiere a Ponte Ognissanti, dal bravissimo Fabrizio a regolarmi, io, la neofita barbetta centralmente bianca, con il baffo prolungatamente nero. Il Fabrizio come sempre mi serve a puntino. Anche a lui 1 euro di mancia. Potevo in cuor mio limitarmi ai soliti 50 centesimi se avevo dato 1 euro a quei mendicanti che nulla avevano fatto per me ? E fanno 3: speriamo di non incontrare altri per la strada.

Finalmente per concludere ancor più positivamente la mattinata, passo per la vicina libreria (“Libraccio”) per ritirare due libri di letteratura italiana ‘900 (Brancati e Pratolini) da un po’ di tempo ordinati. Ho infatti la grossa smania di incominciarli al più presto possibile. Scambio qualche parola con un cliente (Michele, operatore teatrale) e ragionando sulle mie elargizioni di poco prima, un improvviso lampo mi porta alla parabola degli operai mandati nella vigna (Mt. 20, 1-16) che dal padrone hanno ricevuto la stessa paga pur avendo lavorato in misura diversa. Non solo, ma il “padrone della vigna” incomincia a pagare proprio partendo da quelli che erano arrivati per ultimi.

Una parabola per me e per molti sempre del tutto sconvolgente, abituati come siamo a logiche puramente contrattualistiche. Quella parabola mi aveva già notevolmente angustiato circa 10 anni fa ed il mio Parroco mi disse allora, solo, che la logica (giustizia) di Dio non è quella degli uomini. Ma non mi aveva convinto pienamente. Continuai perciò a borbottare ed a brontolare in cor mio ed a ridacchiarne con gli amici più prossimi. E soprattutto a tenere il segnalibro a pag. 57 del mio “Nuovo Testamento” (LDC)

Stavolta ricorro, invero non troppo convinto, al per me novello Internet. Tra le molte analisi da scartare senz’altro, una mi è sembrata assai più convincente. Risultato attuale. PRIMO: le differenti risposte orarie dei vignaioli indicano che il Signore chiama sempre. Siamo noi che, in differenti momenti della nostra vita, possiamo dare la nostra risposta; non è importante a che ora della nostra vita. Si salvano sia quelli che rispondono subito, che quelli che rispondono per ultimi. Inoltre Iddio non premia, come nelle attuali società economiche, secondo il prodotto, ma secondo il bisogno.
SECONDO: il padrone della vigna comincia a pagare proprio cominciando dagli ultimi mandati nella vigna. Ne è molto più semplice la comprensione: gli ultimi della società saranno i primi ad essere chiamati nel Regno..


Forse gli eventuali teologi troverebbero qualcosa da ridire su Internet, ma esso mi ha “scaricato”, per ora, di una sofferenza decennale.


Paolo R.

giovedì 11 settembre 2008

GARZONE (1)





Quasi tutti sanno cos’é, o cosa era, anche se molti non ne hanno mai visti in azione. La parola è rimasta in tutti i vocabolari consultati, anche se la sua concreta figura é andata praticamente scomparendo da alcuni decenni.

Partiamo dunque dai VOCABOLARI. La parola é di origine franca poi dal francese garçon (=ragazzo) (in occasione di questa lettura ci siamo senz’altro imbattuti nel “ragazzo”, di cui, incuriositi, tratteremo a parte.)
Il PALAZZI molto sinteticamente ne mette a fuoco i tre elementi essenziali: “giovane che fa i servizi e specialmente quelli più faticosi in una bottega...”.
Il DE MAURO (Paravia) non vi si scosta di molto: “lavoratore subordinato, non qualificato, addetto ai servizi più semplici ed umili, specie in bottega”. Tralascia però, a nostro, avviso il requisito proprio della giovane età dell’addetto, mentre passa dalla fatica (PALAZZI) alla semplicità delle mansioni.

Limitiamoci alle botteghe di Padova-città, anni ’50 e ’60, tralasciando gli altri settori citati nei libri: g. di stalla, dei campi, della bottega artigiana (meglio in questo caso usare il termine di apprendista) .
C’era, più tipico, il g. del casoin che sovraintendeva al magazzino e portava a casa la spesa alle famiglie, con una biciclettona rinforzata-maggiorata (anche le ruote avevano una dimensione più grande) e munita di amplissimi portapacchi anteriore e posteriore. Portava, sua caratteristica, un grembiule di colore scuro. Non riesco proprio a capire come (rispetto ad oggi) l’esiguità del contenuto della spesa stessa richiedesse l’intervento del garzone. Non c’era sovrapprezzo per il servizio di consegna.
Anche il fornaio aveva il suo g. che faceva il “giro” delle case con i suoi sacchettini bianchi del pane (la stessa quantità per tutti i giorni, salvo modifiche): si andava a pagare settimanalmente, in specie la domenica (il forno era SEMPRE aperto la domenica mattina). Nel giorno del Signore c’era il pane fresco, ma, credo, bisognava andarselo a prendere. Anche il macellaio aveva il suo g., con una giacchina-grembiule bianca, sempre sporca di rosso-sangue. Mi dicono che c’era anche il g. del lattaio (in genere lattaiA:... perché quasi sempre donna ?).. Ma noi il latte siamo sempre andati a comprarlo.

Il cambiamento della società da 2-3 decenni intervenuto ne ha fatto del tutto scomparire la simpatica figura. I motivi sono certamente molto complessi (compreso l’aspetto sindacale, non trascurabile). Ma non ho né la voglia né la competenza per una trattazione più sistematica ed approfondita.


Paolo R.

11.9.08

Una piccola reminescenza a posteriori: i ragazzi delle ultime classi delle elementari, di povere famiglie, al pomeriggio, invece di andare a giocare, andavano a fare i garzoni e si prendevano spesso SOLO le mance.

Una conclusione poetica anche se il vero lemma sotteso é “ragazzo” e non invece “garzone”. Un tributo a Giacomo Leopardi (IL SABATO DEL VILLAGGIO):

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
é come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.

Godi fanciullo mio, stato soave,
stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.


martedì 9 settembre 2008

UN IMPEGNO (?)

Il mio smisurato amore per i Vocabolari mi porta stavolta a ragionare in negativo per così dire. Tutti i Dizionari - é una gara continua - sembrano contendersi il palmares dei neologismi. Una volta “assunte”, le parole restano lì ed il libro si ingrossa sempre più. Tra poco arriveremo pertanto ai tomi (libri separati di una stessa opera).
Ci sembra, pertanto, che nessun linguista od editore pensi a sopprimere le parole desuete (arcaismi): forse non se la sentono. Se la lingua è un organismo del tutto vivo, sarebbe naturale registrarne anche i “decessi”. Ma questo ultimo fatto é, in verità, assai più complicato Può trattarsi di “parole” abbandonate o sostituite da equivalenti più moderne; di “contenuti” soppressi od abbandonati, od altro.

Mi sarei ripromesso di scorrere a questo riguardo alcuni vocabolari, per ottenere un de-vocabolario, cioè un’opera “negativa” (!), ma è un lavoro improbo. Non volevo limitarmi ad un semplice elenco alfabetico, ma volevo - più opportunamente - completarlo con un commento di varia natura.
Sceglierò pertanto, per ora, solo alcune parole più significative, che più mi richiamino agli anni ’50 e ’60, per me più significativi.

Non prometto tanto di “percorrere” tutte le parole da ricercare, ma, su quelle presentate, svolgere un’indagine lenta ma al più possibile approfondita sia sotto il profilo linguistico (più Vocabolari a confronto) che in termini più generali.

Sono atteso ? Scrivetemi pure (“Commenti”) A domani (?) per la prima parola.


Paolo R.

giovedì 28 agosto 2008

QUOTA 500

Mi sto lentamente avvicinando a quota 500 accessi al mio blog. Ne sono contemporaneamente en-tusiasta e deluso. Entusiasta perché all’inizio del “gioco” mai mi sarei immaginato di raggiungere in così breve tempo un tale traguardo. Deluso perché la cifra è del tutto spuria e teorica. Deluso anche per la scarsità dei “commenti” inseriti dai lettori. Complessità del relativo meccanismo e pigrizia dei soggetti ne possono dare spiegazione. Eppure all’Autore sarebbero molto utili !
Spuria perché il meccanismo non mi ha mai convinto completamente, non essendo io mai stato in grado - malgrado i tentativi di acquisizione delle relative informazioni presso gli amici - di com-prenderne i principi del suo effettivo funzionamento. Teorica perché, ovviamente, può esprimere solo gli accessi “teorici” (=virtuali), come avviene per i libri “venduti” (non è detto che vengano tutti effettivamente letti)..
Auguriamoci che la tecnologia-blog si evolva ulteriormente e, con essa, anche la sensibilità dei “lettori”.


28.8.08


Paolo R.

lunedì 25 agosto 2008

LA GARZANTINA


Non feci le scuole “alte”, ma le più basse, finalizzate - per ovvie ragioni economiche - al pronto impiego. Eravamo allora ai primissimi anni ’60. Un giorno, in 3^ Avviamento commerciale (era di questo tipo la mia scuola, “Galileo Galilei” di Padova) venne a farci visita in classe il Preside, prof. Giuseppe Vantini (Bepi tega), per una sorta di definitivo congedo scolastico e conseguente augurio lavorativo. (I Presidi, ed anche lui quindi, erano allora Autorità molto rispettate (e pagate) ed incutevano un certo rispetto. Di oggi non voglio e non posso proprio parlarne).
Sapendo del nostro rischio di non (poter) più studiare, se ne preoccupava giustamente, cercando di porvi un qualche rimedio come poteva. Prese solennemente tra le mani un Vocabolario (o Dizionario....differenza ???) e ne scelse alcune parole, commentandole brevemente. Ci consigliò quindi vivamente di svolgere, per l’avvenire, un particolare esercizio: leggere una “voce” al giorno dal nostro Vocabolario.! Avremo potuto, secondo lui, sconfiggere per l’avvenire la nostra mastodontica ignoranza. Ma erano altri tempi. (Tutta la nostra vita non ci sarebbe naturalmente bastata a percorrere l’intero libro... e l’ignoranza sarebbe comunque rimasta). Anche se non gli detti subito retta, il suo intervento mi colpì vivamente.... non so in che direzione. Solo il prosiego degli anni, se non la mia particolare inclinazione ai vocabolari, ne avrebbe scatenato il reale effetto.

A dire il vero, già l’anno precedente avevo affrontato la spesa del Vocabolario Palazzi.... che, ri-rilegato (cioè rilegato, dopo 40 anni, una seconda volta dalle abili mani del “curatore di libri” prof. Ferdinando B), conservo tuttora con molta cura ed affetto. L’avevo acquistato, approfittando dello sconto librario, tramite l’amico Angelo, addetto in una locale Casa editrice e, così, la spesa era divenuta più sostenibile per un povero studentello come me. Avevo, da subito, iniziato a consultarlo, ma non con il metodo “Vantini”. (una voce al giorno), bensì stimolato dai miei poliedrici interessi.

Dopo qualche mese, al mio primo impiego (dic. 1962), con grosso e del tutto inatteso scoop esce la prima Garzantina generale (“ENCICLOPEDIA GARZANTI”, 2 volumetti). Il prezzo: 2.500 lire. Con uno dei miei primi,magri stipendi, la comprai senza alcuna esitazione in Gregoriana (Via Vescovado) dall’amico Giovanni (pace all’anima sua), senza ricorrere, stavolta (non so proprio perché) all’amico Angelo. Mi ero innamorato dell’Opera e ne sono sempre rimasto fedele. Anche oggi, pur potendo disporre di molti vocabolari e di altre Enciclopedie di maggior respiro.

Sono molto affezionato alla Garzantina (“ri-rilegata”). Conserva anche oggi, del tutto intatto, il valore della sua profonda intuizione e la sua grande validità e vi ricorro, quale conferma, ANCHE quando trovo esaustive e più aggiornate risposte nelle opere enciclopediche principali.

Uno sconfinato grazie al benemerito editore Livio Garzanti, che - con intuito ed intelligenza – ha saputo egregiamente toccare brillantissime tappe nella cultura italiana del secolo appena trascorso.



Paolo R.

17.8.08

lunedì 18 agosto 2008

29 LUGLIO: UNA CAPATINA A PREDAPPIO


“Capatina” è certamente minore di “visita”. E con questo scopo siamo andati a Predappio, con la macchina di Albertone C., curiosi, nella ricorrenza della nascita di Mussolini. Ci aspettavamo di trovare un maggior numero di visitatori, ma siamo rimasti del tutto delusi.

Solo due cose ci hanno fatto un po’ sorridere. Primo. Sosta al motel di Sillaro (tra Imola e Bologna): una testa tonda del tutto rasata, con rigorosa maglietta nera, ci ha chiesto, con decisione (fascista) la direzione di Faenza. Sorridendo, appunto, ci siamo detti con l’Albertone autista, che certamente l’avremo ritrovato a Predappio. E così, dopo 2 ore è stato! Come si poteva non riconoscere quel macchinone carrozzato, SUV, anche esso di colore lucente NERO ?

Secondo: sul cancello d’ingresso del cimitero di Mussolini (S. Cassiano in Pennino) per poco non ci sbarra la strada un giovane con, anche lui, maglietta nera. Solo che sul retro era chiaramente stampato il nome di “Mussolini”. Anche qui un controllato sorrisetto tra me e l’Albertone. Non avevamo affatto paura, ma eravamo un po’ circospetti: non si sa mai, in quelle circostanze, dove si va a parare.

Al cimitero abbiamo trovato solo ALCUNI visitatori, specie nella cripta della famiglia Mussolini. Credo che sia ancora la persona più odiata della storia italiana, ma anche la persona che desta una delle maggiori curiosità. Fuori dal cimitero una pattuglia di carabinieri ed alcune persone che, terminata la visita funebre di rito, si cambiavano dalla maglietta nera (fa sudare) a quella bianca (respinge meglio i raggi del sole).

Si sa, nei viaggi si scopre sempre qualcosa di nuovo. Così io, dalle macchine della zona, ho scoperto la nuova denominazione della “Provincia” territoriale: “FC” (= Forlì – Cesena). Albertone lo sapeva già da anni. Ma io, per certi motivi, non mi avventuro quasi mai in autostrada. Analogamente, pur se in tempi e dimensioni diverse, mi sono venuti in mente i “Viaggi” di Goethe e di Guido Piovene “in Italia”.

Credo, su quest’ultima onda, che - in viaggio – sia abbastanza facile scrivere tutto quello che colpisce l’attenzione, perché diverso dall’abitudinario. Scrivere sulla soglia di casa, mi sembra un po’ più impegnativo.


Paolo R.


17.8.08

IL LUNGO PERCORSO



Ho effettivamente mantenuto la parola (“Todo Modo”) abbandonando la saggistica dopo 45 anni. Non sono però approdato immediatamente alla narrativa, come auspicato, ma ho fatto tappa (intermedia) sul cinema. Non quello televisivo (film automaticamente proposti; interruzioni pubblicitarie troppo frequenti; orario tassativo; ecc.), non su quello delle sale (prevalenti le novità), ma su quello noleggiato (VHS-DVD) nelle apposite videoteche. Per il vero e proprio libro, ne intravvedo però già da ora un cammino di progressivo avvicinamento.

Voglio ora svolgere qui solo una considerazione (Rapporto libro-cinema), riservandomi ulteriore materia per il prossimo parallelo intervento. E’ indubbio che, pur se con molti punti in comune, si tratti indubbiamente di due generi differenti anche se, parzialmente (soprattutto in un senso), comunicanti. Mi pare sia il libro ad avere, nella “competizione”, la vera primogenitura: quanti films sono stati tratti dai romanzi? (Non risulta il viceversa, anche se qualche rara volta ci sono bei film scritti DIRETTAMENTE in sceneggiatura. “Novecento” ed “Amarcord”, ad esempio). Tra parentesi, nella storia della Cultura è sempre stato lo scrittore che ha ispirato tutte le altre specie di artisti (pittori, ecc. Un esempio per tutti: la Bibbia nei confronti del Michelangelo della Cappella Sistina). A loro volta, gli scrittori si sono molte volte ispirati ai testi dei filosofi. Ed il cerchio è chiuso !)

Dicevamo, due generi diversi ma comunicanti. Differenti solo nei mezzi espressivi, negli strumenti e conseguentemente nei loro prodotti finali. Un film, per quanto “piano” e fedele, non può essere mai essere l’esatta trasposizione della sua eventuale fonte letteraria originaria. Pensiamo solo agli effetti speciali, alla fotografia ed alla musica (colonne sonore). Si evidenzia a quest’ultimo riguardo, specie di recente, una certa difficoltà a reperire musicisti all’altezza, che sappiano opportunamente “penetrare” nei films, fornendo sensazioni musicali non di puro e semplice riempimento temporale (silenzi), ma di attesa, di anticipazione, di sottolineatura o, altre volte, di sorpresa, ecc. nei confronti dell’aspetto visivo. Ennio Morricone, Nino Rota per tutti. Ma non sono tanti e, mi pare, comincino a scarseggiare.
Per riprendere quanto qualche riga prima accennato, il regista non è affatto il parente povero dell’Autore dell’opera letteraria, ma è anch’egli un vero e proprio Artista, al quale deve essere concessa e riconosciuta la più ampia autonomia e nonm può essere la sua Opera, come si diceva più sopra, una mera trasposizione..

I film ed i libri, si diceva precedentemente in altra sede, dovrebbero essere visti o letti, nel tempo, almeno due volte. La prima serve solo per penetrare nella tramatura generale, anche se oggi in questa ricerca siamo notevolmente facilitati dalla consultazione di Internet. La volta successiva per cogliere meglio i particolari. Non ha importanza vedere-leggere molte opere, ma vederle-leggerle BENE.

Mi siano permesse ora alcune considerazioni conclusive. Mi capita assai spesso, dopo aver “consultato” una BELLA Opera, di essere profondamente pervaso da una sensazione di profonda emozione (gioia, contentezza od altro) e di completo appagamento, quasi l’esperienza non fosse più ripetibile nel prosiego. Ma non sarà così. Avanti.
Va dà se che nel caso di comune fonte ispirativa (libro-film), la scelta del primo mezzo peserà assai sul giudizio del secondo mezzo prescelto.
La Cultura è come il lavoro di un muratore: le pietre vanno su una per una. Mai finiremo di costruire il muro.


Paolo R.

martedì 15 luglio 2008

- VENGO ANCHIO? - NO... TU NO!


E’ il refrain della vecchia celeberrima canzone di Enzo Jannacci. Non ne diceva il motivo del rifiuto: non lo voleva (con lui) e basta.
Io invece voglio dirvi in dettaglio i motivi per cui non voglio vedere la televisione. La mia scelta è ’ frutto delle riflessioni di anni ed anni e credo, ora, di essere abbastanza pronto ed attrezzato per permettervi di manifestarvele. Non vi scandalizzate però, per favore.. Prima, riflettete pazientemente con me !
Innazzitutto, mi irrita profondamente soprattutto il modo di parlare dei bellimbusti. Tutti fluidi, perfetti, senza alcuna inflessione. Ciò però non corrisponde al parlare come comunemente lo si sente in giro. Sono tutti professionisti della parola, mentre nella società comune non si presta eccessiva attenzione al modo in cui si comunica. Questo fa soprattutto la differenza, una profonda differenza tra TV e società..
Le tematiche affrontate non corrispondono poi per niente a quelle che riguardano personalmente la gente comune. Tutti ricchi, con piscine transoceaniche, con ville supermegagalattiche, ecc. Ciò lo trovo, in fondo, profondamente diseducativo nei confronti della società italiana.
Il paese preferito da fiction-films è l’America, senza colpe né difetti, mentre risulterebbe invece che quella società non è in assoluto la migliore del mondo, avendo anch’essa le sue profonde crepe (specie nei valori etici). Avete poi visto, in quel contesto, la sistematica presenza di arzilli 70nni in blue jeans. Tutti Presidenti, Direttori Generali, manager, petrolieri. Ebbene, questo modello non è proprio della società italiana, né europea. E’ un modello di pura esportazione gratuita.
Apprezzo molto di più, pur se straniera, la recente produzione dei gialli austriaci, perché più sobri e mentalmente vicini a noi.

Si sperò un tempo che il pluralismo televisivo avrebbe contribuito ad elevare lo standard generale dei programmi, ma così non è stato. Si è andati sempre più verso un abbassamento dei livelli qualitativi dei programmi diffusi. Né andrà meglio con il digitale terrestre, credo. Le premesse sono tutte in questa direzione.
La TV pubblica, cui competerebbe un ruolo del tutto particolare, si è sempre più allineata invece su quella privata, reclutando programmi sempre più scadenti in qualità.
Per non dire dei sempre più frequenti programmi-quiz in cui si scambia sistematicamente il nozionismo con la cultura. Se sono così partecipati, credo, è che la società (economica) non consente più quasi a nessuno di realizzare le proprie aspettative attraverso il normale lavoro-professione. Ed allora si trova il coraggio (=bisogno-necessità) di andare in TV per abbassare gli oneri di un semplice mutuo mal consigliato ed impostato.
Il mondo televisivo è assai vasto e complesso e non pretendo perciò di aver esaurito qui tutte le considerazioni possibili da parte mia. Mi basta per ora così.

Paolo R.