giovedì 20 novembre 2008

la "Coccoina"


Stamattina mi sono recato, come al solito, in un ufficio amministrativo della mia vecchia Banca. Sul tavolo di lavoro di una cara e gentile Signora stava in bella mostra un simpatico barattolino. Rotondo, di alluminietto quasi grigio-fosforescente, argenteo, con la scritta in semicorsivo blu., “Coccoina”. Era già la seconda volta che lo notavo, ma stavolta avevo preso una decisione seria: scriverci sopra qualcosa.
Non pensavo veramente che anche stavolta Internet mi avrebbe aiutato (foto). In realtà è un prodotto, tutto italiano, piuttosto storico e serio, risalendo addirittura al 1927, di una solidissima azienda di Voghera, inventato già un decennio prima dell’adozione della politica autarchica nazionale. Per i pochi che non lo sanno, si tratta di una colla bianca, profumata, in pasta, per uso ufficio ed utilizzo fotografico, principalmente commercializzata in un barattolino, appunto, di alluminio nel cui centro c’é l’alloggiamento verticale e strettino per il pennellino con cui stendere la colla stessa. Forse anche a quest’ultimo aspetto è dovuto il suo duraturo successo, secondo me. Del prodotto ho un ricordo molto lontano nel tempo.

Inizialmente (primissimi anni ’50) non la si poteva comprare per ragioni di costo e per incollare sugli album le figurine ci autoproducevamo la colla con l’acqua e la farina fiore. Ma faceva troppi grumi ed era troppo difficile da gestire ed utilizzare. Altri tempi. Poi venne la colla liquida arabica, forse più abbordabile. Venne insieme anche la colla, sempre liquida, padovana, la “Pessi”, prodotta sulla canaletta “Conciapelli” al Carmine. Chissà se qualcuno in città conserva ancora le fotografie del suo stabilimento. Era un piacere per noi ragazzi di quartiere poter utilizzare prodotti padovani, anche se eravamo ben lungi dall’essere campanilisti-autarchici. Ne eravamo comunque molto orgogliosi.
Ma gli uffici professionali ed i giornalisti già usavano abbondantemente la Coccoina, spesso in vasetti formato gigante, perché ne facevano larghissimo uso. Mentre noi ragazzi l’abbiamo a lungo considerata così: un prodotto professionale esclusivamente per uffici. E così è rimasta legata, per noi, credo, al largo uso,

Non credevo che un semplice barattolino, rivisto 2 volte nei tempi più addietro, mi avrebbe così scatenato. Comunque, chi ha avuto l’occasione di leggere il mio “pezzetto” “Cancelleria”, risalente ormai a 10 anni fa, avrà certamente colto il mio rispetto ed il mio amore per quei supporti, per me segno di ordinata professionalità


20.11.08


Paolo R..

domenica 16 novembre 2008

EVVIVA (L')ASIAGO


Stavolta il titolo sembra contenere un errore di battuta, ma così non è. Ve ne daremo presto spiegazione. E’ certamente riferito all’importante centro montano in provincia di Vicenza a mille metri di altitudine.
Ci sono andato, la prima volta, all’età di 5 anni ad accompagnare don Giorgio Veronese che andava, da S. Benedetto, lì cappellano. Mi avevano scelto tra tutti per la mia “cordiale vivacità”. Ricordo poco meno che la Giardinetta di legno guidata da don Decimo e le innumerevoli curve (tornanti) del Costo. Ricordo ancora (eravamo verso il 1955) la ghiaina che improvvisamente, in curva, rovinò un po’ la macchinetta. Ricordo anche l’alto fianco del suo Duomo, sui cui scalini ci fermammo a riposare.

Dopo di allora ad Asiago (chissà perché) non ci tornai mai più, mentre erano in continuo aumento quelli che vi andavano in gita od a soggiornarvi. Per me rappresentava comunque montagna, anche se non proprio le alte vette (lago di Carezza, ad esempio).

Da grande sentivo sempre parlare poi del progressivo spopolamento della montagna in genere e dell’utilità e necessità di salvaguardarla. Anche nei successivi studi economici mi occupai volentieri di agricoltura di montagna. Asiago mi tornava spesso alla mente a mo’ di esempio. Testimonianza fu che per anni seguii fedelmente e con notevole interesse la trasmissione televisiva mattutina domenicale di “A come agricoltura”. Oggi danno, sempre con le stesse modalità, “Linea verde”, ma i miei interessi sono nel frattempo cambiati.

Solo l’anno scorso ebbi modo di tornare ad Asiago e lo vidi con un certo rimpianto... sull’età dei 5 anni. Visitammo tra l’altro il bel Duomo con lo stupendo mosaico color azzurro-oro del battistero. Il comune farà dal sì al no 3 mila abitanti fissi, che diventano circa 10 mila nei periodi turistici. Non mi è sembrato infatti proprio un grosso centro urbano, ma la sua conclamata rinomanza lo supera abbondantemente. Siamo poi stati alla Latteria “Pennar” ad acquistare, naturalmente, il buon formaggio Asiago, sia fresco che stagionato e siamo stati contenti dell’acquisto. Abbiamo portato così una goccia di contributo all’economia agricola veneta di montagna. Veneta: per salvare le nostre genti; agricola: per salvare i contadini-autoproduttori (cooperativa); di montagna: per non far naufragare nel nulla la montagna.
Anche nel frattempo degli anni avevo pensato a quella produzione ed a quei valori economico-sociali, acquistando di quando in quando quasi per incanto quel buon formaggio in città.

Ma Asiago mi ricorda anche la colonia estiva (POA) dove andavano d’estate i miei fratelli. Io – chissà perché – non ci sono proprio mai andato. Chissà anche perché... sono rimasto piuttosto a casa.

Concludendo: anche ieri ho acquistato, con le stesse motivazioni, un bel pezzo di formaggio Asiago agli stand gastronomici in Prato della Valle. Contento di averlo trovato. Ho così ancora una volta assaporato i bei gusti della media montagna veneta.




Paolo R.

16.11.08





mercoledì 12 novembre 2008

DALLA SCUOLA MEDICA DI SALERNO AL "TACUIN"













Il mio carissimo amico Nino ha perfettamente indovinato regalandomi un semplice taccuino. Di dimensioni tascabili, a righe, con elastico di chiusura. Sapeva che l’avrei messo subito in funzione per prendere appunti volanti, per la strada. E difatti, ier l’altro, andando a spasso (di domenica mattina) per il centro della città, l’ho usato in abbondanza. Ne vedrete presto i frutti. La domenica mattina, ho constatato, è la miglior parte della settimana in cui si può osservare (non c’è confusione per le strade) e prendere debite annotazioni. E fermandosi a scrivere non si intralcia nessuno.
Infatti, il taccuino serve a fermare impressioni, osservazioni, notizie che altrimenti si perderebbero nella memoria di ¼ d’ora. Una cosa analoga, seppure parzialmente, la può fare il fotografo. Sono due modi complementari di “fissare”.

Taccuino ha ormai perso l’originario significato di lunario-almanacco, del quale non è qui il caso di parlare. Rimane quello di libriccino per appunti, detto anche block notes. E’ un libriccino per annotare e per poi eseguire o sviluppare. Mentre l’agenda riguarda le cose da fare, suddivise per giorno; il diario, sempre suddiviso per giorno, riguarda le cose già fatte. Queste cose le sappiamo tutti, anche se non vi ci siamo mai soffermati, per... mancanza di tempo.

Taccuino ha origini assai lontane risalendo all’arabo taqwin = giusto ordine, corretta disposizione. Difatti risale alla Scuola medica di Salerno (nella foto) dell’XI° secolo, qui di seguito brevemente presentata:

« Si tibi deficiant medici,medici tibi fiant haec tria:mens laeta, requies, moderata diaeta. »
« Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta. »
(Scuola Medica Salernitana, Regimen Sanitatis Salernitanum)
La Scuola medica salernitana è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (XI secolo); come tale è considerata da molti come l'antesignana delle moderne università.
Difatti, il Dizionario italiano a cura di Tullio De Mauro (Paravia) giustamente riporta che per taccuino si intende il titolo dato araccolte di prescrizioni mediche ed igieniche o a PICCOLE enciclopedie di medicina. La PICCOLA dimensione fisica (vademecum) rimarrà elemento stabile nel tempo, mentre sarà destinato a variare il suo "contenuto".
Anche il Nuovo Etimologico della Zanichelli è assai ricco al riguardo, precisando che per taccuino si intende "corretta disposizione, giusto ordine": diffuso attraverso due opere di autori arabi divulgate dalla Scuola medica di Salerno col titolo tachiunum sanitatis.
Infine, per sola completezza in senso regionalistico veneto, il taccuino ha assunto invece il significato di portamonete (el tacuìn), sempre per le sue PICCOLE dimensioni. E così il titolo di questo post è finalmente spiegato.
Paolo R.
12.11.08

martedì 11 novembre 2008

COGITO ERGO SUM


“Domine non sum dignus”, si diceva una volta ricevendo la Comunione. Oggi, con la Messa in “volgare”, esso è andato nel dimenticatoio. Ma noi sessantenni ce ne ricordiamo ancora abbastanza bene. Mi viene in mente questa “sequenza” a (s)proposito della festa di oggi in Francia. E ve ne spiegherò tra breve il concreto motivo.
Ieri, mia figlia da Parigi mi aveva annunciato la grande festa francese di oggi. Ho naturalmente ed ingenuamente pensato a San Martino di Tours (371), quello col mantello diviso col povero, analogamente a quanto avviene in Italia. Ma, già altre volte Serena mi aveva detto della profonda laicità della Francia. Ero un po’ perplesso. Mi baluginava il messaggio del mio caro amico Romano Bruni ad un mio viaggio in Francia nel lontano 1985: “E’ il paese di Cartesio" (nella foto): “Cogito ergo sum”. E così avrebbe dovuto essere. Ma, solo a nominarlo indegnamente, mi torna il “Domine non sum dignus”.
Ma non è neanche questa la chiave di lettura della festa nazionale francese odierna. Sempli-cemente si ricorda il trattato di pace della I^ Guerra mondiale che del tutto casualmente cade nella festa di S. Martino, come mi precisa meglio, oggi, mia figlia via e-mail.

Spostiamo brevemente l’obiettivo. Noi italiani festeggiamo da sempre, come conclusione della I^ Guerra mondiale, il 4 novembre. Semplicemente la Francia lo celebra 7 giorni dopo. Evidente-mente le ostilità non hanno avuto contemporanea fine sui diversi fronti. La storia non è tutta e solo quella dei classici libri di testo, ma va arricchita e verificata con altre fonti, anche esterne.

Lo stesso mi capitò, in un tempo passato, in riferimento al lontano 1453: Caduta dell’Impero romano d’Oriente, secondo un libro “occidentale”; “Conquista di Costantinopoli” secondo una fonte diversa. Cambia solo l’angolo di visuale. Ma vi pare poco ? La “verità” ha quanto meno due facce se non di più !

E’ bene perciò saper leggere in più direzioni contemporaneamente per avere un’idea della complessità del mondo e della storia.


Paolo R.

11.11.08

mercoledì 5 novembre 2008

UN MAGNIFICO, ONESTO, IMPOSTORE



Con un viaggetto di 12 km. sono stato a Maserà di Padova, al locale cimitero, per meglio dire al “campo santo” come indicato dai cartelli direzionali. Volevo vedere la tomba di Giorgio Perlasca, che sapevo ivi sepolto, vedere se era degna di un personaggio così benemerito. In realtà si tratta di una comune tomba di marmo, sulla quale balza in evidenza una dicitura:. “Giusto tra le nazioni”.

Sono andato subito a documentarmi. E’ un titolo che spetta, secondo il diritto israeliano (legge del 1953) alle persone non-ebree che si sono prodigate, anche a rischio della vita, per salvare anche un solo ebreo dalla deportazione nazista. Non voglio raccontarvi la storia di Perlasca, perché, credo, straconosciuta dopo il notissimo film televisivo di Alberto Negrin (dal racconto: “La banalità del bene” di Enrico Deaglio) di circa 10 anni fa. Allora, molto interessato all’episodio ed alla problematica sottesa, mi sono solo dispiaciuto – ed anche oggi ripensandoci - come la storia, la vera storia, possa uscire solo quasi casualmente, sulla scorta dell’intuizione di qualche bravo giornalista e, poi, del “conseguente” regista. E pensare che in Israele, patria del “Giardino dei giusti tra le nazioni”, sono finora già stati “piantumati” circa 4.000 alberi (in memoria di altrettanti salvatori di ebrei) di cui circa 450 italiani. Giorgio Perlasca è solo uno degli ultimi, ma per i precedenti 449 non si è detto niente. Perché ?

Per dovere di completezza si ricorda che nella tradizione ebraica il termine “Gentile giusto” indica i non ebrei che hanno rispetto per Dio, essendo Dio il termine di riferimento morale per tutti, anche per i “Gentili”, ossia i non-ebrei.. Sempre per completezza, si ricorda che l’attribuzione (israeliana) del titolo in argomento comporta il conferimento di una medaglia con il nome inciso, un certificato d’onore, il privilegio dell’incisione del nome nel Giardino dei giusti (Yad Vashem) e la piantumazione di un albero – spazio permettendo - nello stesso Giardino. Tale pratica indica nella tradizione ebraica il desiderio di ricordo eterno. Oltre ai benefici onorifici, i Giusti possono ricevere dallo Stato israeliano una pensione od un aiuto economico se in difficoltà finanziarie ed inoltre comunque la cittadinanza israeliana. A tutt’oggi, oltre 20.000 Giusti tra le nazioni sono stati riconosciuti (attraverso i Centri di Documentazione ebraica).

Non ci ho pensato finora da 10 anni. Solo che di recente, circa 1 mese fa, una pianta in memoria di Giorgio Perlasca è stata posta anche nel “Giardino dei giusti del mondo” di Terranegra (Padova). Su Internet ho poi trovato il cimitero di Maserà e da lì è scaturito questo breve intervento.




Paolo R.

6.11.08

lunedì 3 novembre 2008

INVOLUZIONE DI "SPACCIO"


Su Internet non c’è una definizione diretta di “spaccio”, ma solo un rimando ad “outlet”. Parola, quest’ultima, che non corrisponde a quella storica di “spaccio”. Sempre su Internet, nelle “Immagini” compaiono però 4 fotografie dello spaccio di droga.

E’ purtroppo questa l’accezione più moderna (e negativa) della parola in argomento. Non più punto di vendita a prezzi stracciati, accanto al luogo di produzione (“spaccio aziendale”, specie per i capi di abbigliamento); non più luogo di mescita a brevi soste e sempre a prezzi inferiori (spacci-bar delle caserme e delle comunità). Ma spaccio di droga e basta, ovverossia vendita di sotterfugio, con la speranza di non essere visti-individuati: passare quindi di mano (la droga), possibilmente di nascosto. Elemento della velocità, dunque! E’ questa, come si diceva poco sopra, la più moderna (purtroppo) accezione del termine “spaccio”. Ad oggi, solo usando quest’ultima parola, viene automaticamente alla mente il suo naturale complemento oggetto: “droga”. Ma se tanto si combatte il fenomeno dello spaccio (di droga), perché altrettanto non si fa per contrastarne gli acquirenti ? Se c’è vendita (spaccio) è perchè c’è corrispondente acquisto. Sembra troppo semplice.

Anche i miei amici Vocabolari, in successione segnano questo passaggio-"evoluzione" del termine “spacciare”. Nell’edizione del 1958 del Palazzi non c’è infatti nessuna traccia dello spacciatore di droga: “spacciare: 1) vendere; 2) divulgare...”. Il Nuovissimo Dardano degli anni ’90 è assai più ricco e, purtroppo, aggiornato: “spacciare = 1) vendere rapidamente e, per lo più, in grande quantità – il classico concetto storico, meglio definito che non nel Palazzi -; 2) mettere in circolazione sostanze, merci di cui è vietata la diffusione o anche denaro falsificato: s. droga; s. merce di contrabbando; 3)....”.


Come si vede ora, il nostro cammino ha toccato varie sponde: parole NUOVE (neologismi); parole (straniere) SOSTITUITE per legge (Legge 23.12.1940, n. 2042); parole IN VIA DI RIDIMENSIONAMENTO (Garzone); parole IN VIA DI ESPANSIONE (“spaccio”, qui).
A quando le parole estinte (arcaismi) ?? Si vedrà.

La lingua è un organismo vivo che registra tutti e 4 i fenomeni appena delineati. Un po’ più difficile delinearne l’ultimo.


Paolo R.

3.11.08

sabato 1 novembre 2008

OGGI, FESTA, NON COMPRO PROPRIO NIENTE !


Chiedo “Il Corriere della sera”. E’ già esaurito. Bene!. Chiedo allora “La Repubblica”: “1,50... c’è l’inserto”. Il mio è ancora un no. Devo (liberamente) decidere io quanto spendere per un certo prodotto, anche se di poco prezzo e non lasciare che sia il mercato a sopraffarmi.

Eppoi oggi ricorre la festa di Tutti i Santi e, per santificarla, al massimo accetterei di prendere il giornale quotidiano. Mannò, i supermercati sono aperti ½ giornata e sono anche piuttosto affollati. Segno solo che la gente trova comodo trovarli aperti. Questione di (poco) tempo a disposizione, indaffarati come sono a produrre negli altri giorni. Non invece questione di soldi, abbondanti, che scarseggiano invece per tantissimi e che non vengono certamente fatti moltiplicare dagli orari prolungati ed allungati. Ma non si pensa che, così facendo, si obbligano le povere commesse a lavorare ed a lasciare i figli qua e là nei giorni di festa. In tal modo, la società scade.Tante famiglie compromesse da altre famiglie pure compromesse. Non si tratta affatto di sposare ciecamente le tesi dei Presuli, ma di ragionare serenamente. Ma ai gestori-padroni interessa solo battere la concorrenza con sempre più ampia disponibilità all’apertura, innescando così un meccanismo del tutto perverso. Un gioco al massacro, senza lasciare alcun spazio ai valori sociali. Il Dio denaro imperversa sempre più. Ne vedremo presto le conseguenze.

Sono andato anch’io al supermercato, ma volutamente non ho comprato niente. Sono andato solo per chiaccherare ed anche se mi servivano i cachi, ho preferito astenermi dal comprarli. Mangerò le mele che ho in frigo.

Pensavo che, dopo le riforme degli anni passati, il 1° novembre non fosse più festa ed invece, controllando il calendario, la festa civile era ed è rimasta. Delusione ancora maggiore !


Paolo R.


1.11.08