mercoledì 24 dicembre 2008

COPPI O BARTALI ? o IL PANETTONE


Il panettone Alemagna


Dalla biografia su Gino Alemagna, focalizzata negli anni del dopoguerra sulla (ri)nascita e lancio industrial-popolare del panettone (in forte concorrenza con l’altro industriale-pasticcere, sempre di Milano, Angelo Motta), spulcio una bella ed insuperabile frase dal Corriere della Sera del 21 dicembre 2008, che vi voglio riportare:

“Nel laboratorio di Via Fra Paolo Sarpi, con un occhio sempre puntato a quello che il rivale Angelo Motta combina in Via della Chiusa, l’ex ragazzo di bottega (Gino Alemagna) reinventa il panettone (fino ad allora considerato un dolce povero, pan de Toni, un vecchio fornaio: n.d.r.): d’ora in poi quel dolce soffice ed alto come il cappello di un cuoco riuscirà – almeno nello spazio di un brindisi – a rendere uguali ricchi e poveri.” (Fabio Cutri)


E’ stato anche secondo me il segreto del larghissimo successo del noto dolce milanese. Ai miei tempi (anni ‘50’60), le due grandi marche milanesi erano in fortissima concorrenza tra loro. Erano quasi due “partiti” natalizi: si parteggiava o per l’uno o per l’altro, quasi come, nel ciclismo, per Coppi o per Bartali. Poter acquistare un panettone di quelle due marche era allora segno di status symbol. Le produzioni locali, artigianali, vennero più tardi, quasi su imitazione. C’erano allora esclusivamente i panettoni classici (uvette e pinoli), mentre il suo prodotto alternativo (pandoro) verrà solo verso la fine degli anni ’60, come le loro variazioni (senza canditi, senza uvette....senza panettone). Il resto è storia più recente: da ultimo, il panettone di pasticceria a 20 euro per chilo.Ma questo non è più argomento storico, ma sociologico.


Paolo R.

24.12.08





24.12.08

domenica 21 dicembre 2008

EUREKA ! (Ho trovato!)


Una delle principali caratteristiche dei giovani - ed anch’io lo sono stato - è certamente quella di essere profondamente idealisti. E questo comporta sempre la viva speranza che quello che più di buono pensano possa un bel giorno realizzarsi nella società locale, nazionale e mondiale. Tra gli alti loro ideali, certamente quello di avere a disposizione una stampa veramente indipendente ! Sarà destinato a realizzarsi ? Si vedrà di seguito.

PUNTO PRIMO. Torniamo a circa metà degli anni ’60. Ex Cinema “Roma”, già in Prato della Valle. In una calda domenica pomeridiana con gli amici un po’ scettici andiamo a vedere “Signore e Signori” di Pietro Germi, destinato poi a diventare una delle pietre miliari del cinema italiano di costume del dopoguerra. Descrive in profondità, in ambiente veneto di provincia (la città di Treviso), la buona società cattolico-borghese alle prese con uno scandaletto a sfondo sessuale. Vi sono coinvolti i rampolli di alcune famiglie-bene di quel centro. L’articolo sullo scandalo non é ancora stato completato con la battitura a macchina da parte del cronista, che una continua serie di telefonate dei genitori di quei rampolli induce il povero redattore a cancellare i corrispondenti nomi dall’articolo. Non rimane quasi più nessuno. Deluso e mortificato, al malcapitato cronista non rimane che cestinare rabbiosamente le cartelle che stava completando. Ma con perfetta scelta dei tempi, e con altrettanta ironia, il regista improvvisamente inquadra la grandissima illuminata (era notte) insegna del giornale -“L’NDIPENDENTE” - che rompe il buio della piazza sottostante. Mai titolo più sbagliato.

PUNTO SECONDO. In tutti gli anni seguenti (kennedismo, ad esempio) e nei successivi abbiamo ancora sempre cercato e ricercato di trovare una stampa veramente indipendente. Come ho scritto già 10 anni fa in altra sede, il merito principale (sempre però parziale) l’ha ottenuto “Il Giorno” di Italo Pietra e di Gaetano Afeltra, poi. Ma nel complesso sono stato assai deluso in questa poliennale ricerca. Oggi, stanco e profondamente deluso, ho preferito delegare alla mia brava e paziente moglie Marina la più semplice, realistica, lettura dei quotidiani esistenti, limitandomi a farmi sunteggiare solo le notizie più importanti e di maggiore interesse per me (lei mi conosce assai bene).

PUNTO TERZO. Non gioco mai al lotto od a giochi simili di scommesse. Tuttavia, abitualmente fumando, mi reco sistematicamente in tabaccherie-ricevitorie ove, sempre appesi sul bancone, noto il “Notiziario delle estrazioni” (come da foto). Sono stato portato così a ritenere di aver finalmente trovato la tanto affannosamente ricercata pietra filosofale (= stampa veramente indipendente). Chi la dura la vince !

21.12.08

Paolo R.

mercoledì 3 dicembre 2008

NON SI PUO' CONOSCERE TUTTO


Sono forse in netto recupero temporale ? Forse si!

Non prescelgo ancora Internet ai tradizionali Dizionari (Dardano). Ma stavolta ho fatto esattamente il contrario ed vi ho subito trovato la voce “tovagliato” da cui, soddisfacentemente, ho tratto la fotografia qui presentata.

Stamattina dal bus ho intravisto un camioncino in sosta sulla cui fiancata era riportata la dicitura: “Lavanderia industriale – tovagliato pizzerie e ristoranti”. Ho subitissimo capito di cosa si trattava solo perché, del tutto opportunamente, era stato premesso “Lavanderia industriale”, come detto. Si trattava semplicemente di una ditta che provvedeva a lavare tovaglie + tovaglioli di pizzerie e ristoranti. Semplice no ! L’avrei capito ugualmente in assenza della dicitura iniziale ? Non lo so proprio.

Avviene però che io non mi occupi di quel settore se non come avventore. Per me si è trattato quindi di una parola del tutto nuova che ha completamente colpito la mia attenzione. Credo che in quei settori l’esigenza “omnicompresiva” si sia manifestata già da un pezzo, se anche il bravissimo Dardano di 10 anni fa ne dà la seguente spiegazione: “1. Insieme di biancheria da tavola; 2. Tessuto per tovaglie”. Fin qui non si è scoperto che l’acqua calda, ne sono del tutto consapevole.

Ciò mi dà ancora l’occasione di indagare, esemplificativamente, su come nascono le parole nuove (neologismi), di cui ho già precedentemente accennato. Ebbene, nascono in connessione ad esigenze del tutto nuove, che in precedenza non si erano manifestate. Mi viene in mente, in parallelo, la vecchia parola veneta “quintalato”, che semplicemente indica la resa per ettaro delle varie colture. L’ho sentita 20 anni fa in campagna da un vecchio contadino ed anche lì ho dovuto pensarci su. Evidentemente, quel suffisso “ato” non incontra proprio il mio favore.

Rimane ancora piuttosto misterioso per me l’opposto fenomeno degli “arcaismi”, cioè delle parole derubricate dal vocabolario. Chi se ne dovrebbe occupare ? Solo gli editori ? Come mai, dopo decenni di totale abbandono, torna ad essere presente nei normali vocabolari il lemma “eziandio” (= anche) ? Forse solo per ragioni storiche (= per la consultazione di vecchissimi libri ?) ?

Il cammino filologico, pur se modesto, continua e continuerà ancora.


Paolo R.


3.12.2008

martedì 2 dicembre 2008

LE FOTO TRA LE FOTO


Da oltre 10 giorni non produco nulla. Qualcuno se ne è mostrato un po’ preoccupato. Anch’io, ma solo in parte. Stavo solo cercando la mia stella polare, ma non ho mai smesso di scrutare nel cannocchiale. Ora mi sembra arrivato il momento di dire: “Finalmente l’ho vista abbastanza chiara!”

La mia stella polare era l’esatto oggetto della mostra fotografica: “Dalla lastra al digitale. Ottant’anni di immagini del Gabinetto fotografico dei Musei Civici” (di Padova) (1920-2000), in corso di esposizione al Museo agli Eremitani fino a metà gennaio prossimo. Vi sono infatti esposte sia lastre in vetro (scattate nel secolo addietro) sia stampe su carta fotografica. Vi invito caldamente ad andarle a vedere, specie gli amanti della fotografia come tale e di Padova passata. Già perché, mi sembra, la mostra ha più oggetti impliciti. Principale è senz’altro quello riguardante l’attività fotografico-artistica del suddetto Gabinetto, che ha avuto per principale oggetto il Museo stesso (collezioni, personaggi, etc.), sia la Padova urbanisticamente in trasformazione. La mostra non poteva essere sufficientemente esaustiva (sui due fronti), ma avuto finalmente il grande merito di aprire agli ignari padovani parte delle ricchissime collezioni del Gabinetto fotografico, completate con bella mostra di macchine fotografiche d’epoca..

A parte, per dovere di gratitudine, è esposta una carrellatina di ritratti eseguiti ‘novecentescamente’ dai maestri Luigi Turolla (1889-1968), già con studio in zona Ponte Torricelle, e Menotti Danesin (1894-1976), che al cessare della loro attività (circa 40 anni fa) hanno donato al nostro Comune gli interi loro archivi (fotografici). Ai due maestri sono state perciò giustamente riservate due sale espositive. Anche se non esperto di fotografia, potrei timidamente avanzare il “sospetto” che la fotografia (parola, mi scuso, molte volte da me qui ripetuta) abbia cominciato a muovere i primi passi proprio con la ritrattistica. Che ne pensate ?

Casualmente sul “Corriere della Sera” di mercoledì 26 novembre scorso (pag. 26) trovo un assai interessante spunto, in termini generali, del giovane scrittore Andrea De Carlo, che voglio proprio riportare testualmente: “Quello che mi ha sempre affascinato della fotografia è la sua estrema, insuperabile capacità di sintesi. Un romanziere ha bisogno di centinaia di parole per descrivere una situazione, un luogo, un gesto, uno sguardo, un sentimento. Gliene servono decine di migliaia per scrivere una storia intera. Un fotografo, se è così bravo e fortunato da trovarsi al posto giusto al momento giusto, può riuscire a fare lo stesso con un solo scatto, in una frazione di secondo. ...”



Paolo R.

2 dicembre 2008