martedì 30 settembre 2008

SENZA TITOLO (vedi in calce)


Oggi voglio parere per la prima volta piuttosto macabro. E’ una libera scelta. E’ anche questo uno dei tanti aspetti della mia piuttosto poliedrica personalità. In realtà, tutti la abbiamo un po', anche se i più cercano di non farla trasparire. Solo i veri artisti (ed i presenti tali) non lo nascondono.

“Il (ggmm) é improvvisamente venuto a mancare all’affetto dei suoi cari (‘NOME COGNOME’)/ anni xx...”

Ma siamo sempre proprio sicuri che questo “affetto” esisteva davvero ? O piuttosto i “suoi cari” da tempo non aspettavano altro, che dividersi l’eredità o cose del genere ?
Qui ci vorrebbe solo Pirandello, perché ha egregiamente saputo, solo lui, scavare in profondità proprio negli elementi più semplici dell’animo umano, come nei fatti apparentemente più superficiali della vita.

Continuiamo pure nell’epigrafe standard: “Lo annunciano con profondo dolore la moglie/marito, i figli, ecc.” E giù il lungo elenco di parenti, a cascata, fino alla terza generazione ! Ci sarà davvero questo “profondo dolore” o, a volte, si tratta solo di una lungamente mal celata aspettativa di liberazione ?

Se poi vai alla messa funebre, il povero prete è quasi costretto a mettere di più l’accento sulle (poche) cose buone fatte dal defunto rispetto alla realtà più fotografica. Quasi una sorta di viatico !

Mi ha fatto sempre sorridere – ma qui viene proprio buono – il vecchio detto padovano: “Co i nasse, tuti bei / Co i xe sposa, tuti siori / Co i more, tutti boni”!

Recupero un aforisma del mio amico Sergio Contin di P.S.N.: “FALSO COME NA PIGRAFE!”


Paolo R.

30.9.08

"RIVAI, PER OGGI, NELLA TUA BENEDETTA BOTTE!"




“Vai, per oggi, nella tua benedetta botte!” (Diogene – “RIVOGLIO LA MIA BOTTE”), mi ha appena sparato, sorridendo un po’, mia moglie. Inavvertitamente aveva staccato un filo della ormai pluriennalmente dismessa filodiffusione (lavori di pittore in corso in casa) ed anche il collegamento Telecom-ADSL era improvvisamente ed inesorabilmente caduto..

Della filodiffusione i più non sapranno niente o quasi niente. Fino agli anni ’70-’80 era invece un servizio supplementare collegato al telefono, di poco prezzo, pur se ritenuto utile. Non c’erano ancora le radio locali private che trasmettessero musica. Così, specie i negozi, la utilizzavano ampiamente perché con buona fedeltà ritrasmetteva i 3 canali radiofonici, più un quarto canale di esclusiva e continua musica leggera ed un quinto di continua ed esclusiva musica classica. Dai più era preferita la leggera. Nelle case, invece, la classica. I giornali TV ne riportavano anche la programmazione. Ebbe un certo successo anche, come detto, per la veramente trascurabilità della spesa (per i privati certamente). Poi, con l’avvento delle radio locali libere (anni ’80) se ne ebbe un progressivo e definitivo abbandono. Non se ne parlò più, semplicemente come altrettanto improvvisamente è capitato di non sentire più parlare di vari personaggi politici Di quella musica esisteva naturalmente un apposito apparecchio “lettore” (come si dice adesso), della grandezza di una radio, ma non mi ricordo se fosse esattamente anche diffusore o solo amplificatore.

Per tornare ad oggi (posso dirvi che già qualche tempo fa la persistente presenza del filo della filodiffusione ebbe a dare qualche noia agli impiantisti della Telecom)., qualcuno prese improvvisamente la decisione di strapparlo, erroneamente convinto della sua assoluta inutilità. RISULTATO: telefono e linea Internet MUTI: risolveremo magari domani.

Per intanto devo rinunciare a fare le ricerche che mi ripromettevo di fare in Internet, avendo le altre stanze (dove ci sono i moltissimi miei Vocabolari) in subbuglio (pitturtazioni in corso, come detto più sopra). Meno male che il computer (Word) funziona perfettamente, così posso immagazzinare oggi e domani trasmettere..

In conclusione, si potrà andare anche a stare nella botte, ma per libera scelta e non per costrizione... tecnica o personale di altri. Mi viene in mente - per analogia – la nonna, all’ospizio dei poveri di Firenze negli anni ’30 (film – foto - “Cronaca familiare” da Vasco Pratolini, di Valerio Zurlini), a cui era stato lasciato di tenere sotto il letto l’urinale. Se ce lo aveva, non si alzava minimamente dal letto; ma se NON ce l’avesse avuto, si sarebbe alzata 3-4 volte durante il sonno. Effetto placebo. La botte non potrebbe mai per me diventare una botte-placebo. Grazie dell’attenzione.


Paolo R


30.9.08

domenica 28 settembre 2008

ASPETTANDO...I LIBRI




Internet è sempre più bravo. Digito solo “aspettando” e mi presenta, subito, aspettando “Godot”. Non mi interessa cosa sia esattamente. Mi è venuto in mente il suo inizio “aspettando...”, perché anch’io sto aspettando qualcosa. Da più domeniche aspetto, purtroppo finora inutilmente, la ricomparsa della trasmissione televisiva: “Per un pugno di libri”, di cui ho certamente, già da tempo, avuto modo di dissertare. E’ uno dei due SOLI appuntamenti televisivi cui mi sottopongo volentieri settimanalmente.

Si tratta di una trasmissione profondamente educativa che, nelle gare tra due ultime classi di liceo, mette in palio libri e non soldi: i punti vinti si traducono in altrettanti libri di narrativa. Fa piacere vedere ragazzi di poco meno di 20 anni ancora dediti alla lettura delle opere di narrativa, italiana in particolare. Fa piacere sentire come molti di essi si cimentino abitualmente nel suono di strumenti musicali, nella recitazione teatrale ed in altro. Fa piacere sentire come parlino bene dei loro insegnanti-educatori e del preside. Fa piacere sapere che alcuni di essi sono impegnati nella redazione del giornaletto scolastico. Un plauso anche ai superiori (insegnanti-preside) che gli consentono di prepararsi adeguatamente (permessi di esenzione dalle lezioni più prossime) e, quindi, di partecipare alla trasmissione televisiva.

Non so chi sarà il conduttore di quest’anno, spero ancora nel bravissimo (imitatore), soft, Neri Marcorè (nella foto). Se non sarà proprio ancora lui, confido in un suo DEGNO successore. Novità certamente ce ne saranno rispetto all’anno scorso. Speriamo solo migliorative.

Voglio concludere, ancora una volta, leopardanianamente:
“Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave”



Paolo R.

28.9.08

sabato 27 settembre 2008

APPUNTAMENTO 1/4 D'ORA DEL SABATO POMERIGGIO



Recentissimamente, variando l’”oggetto sociale”, ho inserito anche la teologia. E’ perciò un impegno che mi sono liberamente preso ed a cui ho già dato pronto av-vio (“1 EURO A CIASCUN VIGNAIOLO”).
Non intendo però ora proporvi un’altra bella parabola, certo che non manche-ranno altre future occasioni. Intendo ora parlarvi di una brevissima trasmis-sione televisiva (15 minuti soli) che va in onda ogni sabato pomeriggio, alle 17,30 su Rai 1. La conduce splendidamente il padre cappuccino Fra Rainiero Cantala-messa (nella foto) e non la presenta meramente a tavolino, ma con stimolanti servizi esterni. Illustra il Van-gelo della domenica successiva. Padre Raniero è una persona molto colta sia in temi teologici, che generali. E’ molto sereno, suadente e convincente. E’ precisamente serafico.

Da circa 2 anni lo seguo immancabilmente ed il suo appuntamento televisivo è per me diventato una piacevole scadenza settimanale. In questa società materialistica, consumistica, ingiusta ed arrogante, credo che un po’ di riflessione non guasti a nessuno, sia esso credente, semi o meno. Si tratta di un intervento a doppia valenza: religioso-antropologico, di cui tutti abbiamo estremo bi-sogno.

Nel passato si è avuto occasione di “visitare” le basiliche di Roma, le chiese rupestri della Cap-padocia, le chiese cristiane del Medio Oriente: congiuntamente lezioni di storia e di storia dell’arte. Penso di aver detto abbastanza e vi invito a “tentare” almeno 1 volta.

Paolo R.

27.09.08

venerdì 26 settembre 2008

ALLA SCUOLA SOLO LE BRICIOLE


Giusto solo ieri mattina, in Via Altinate mi sono imbattuto in una giovane signora, elegantemente vestita, in bicicletta. Mi ha colpito perché, in sosta sul marciapiede, stava tranquillamente conver-sando al cellulare ed ho sentito perfettamente: “Quest’anno al ragazzo abbiamo comprato solo libri usati!”. La frase, che mi ha assai colpito data la ricercatezza nell’abbigliamento della medesima signora, merita certamente qualche estemporaneo commento.

PRIMO: i testi scolastici, è vero, risultano piuttosto onerosi per la generalità delle famiglie, in parallelo allo spinto allargamento dei livelli di scolarizzazione. La scuola è infatti vista soprattutto quale unico veicolo di promozione socio-economica, più che mezzo di acculturazione. Ma, se ne vedrà più in là nel tempo, non sempre la realtà futura seguirà di pari passo. Forse invece in molti casi sarebbe preferibile (e più vantaggioso anche economica-mente) un più pronto inserimento lavorativo.

SECONDO: la classe politica, in forma strisciante (larvata e subdola) ha adottato una politica di scolarizzazione di massa fino ai gradi universitari (lauree brevi e specialistiche). Il VERO scopo risulta assai recondito ! Non vorrei che si trattasse di un mero palliativo, con la sola conseguenza di spostare i problemi 5-10 anni in avanti (ad ALTRA classe politica ?)

Ciò premesso torniamo ancora, per concludere, alla ciclista di Via Altinate. Non mi è sembrato, per i motivi che ho detto più sopra che il suo (apparente) status di borghese avesse, da solo, impedito l’acquisto di libri NUOVI di zecca. La apparente contraddizione deve perciò essere meglio sviscerata. Ai miei tempi solo pochissimi ragazzi ricorrevano ai libri usati: non era di moda. Oggi, pur in presenza di un certamente maggiore benessere (a parte le crisi contingenti) l’acquisto del libro usato sembra prendere prepotentemente piede.

Oggi persino alcune librerie si sono specializzate nel libro usato. Ma il relativo commercio viene, si badi bene, a monte alimentato da chi i libri glie li cede, solo per recuperare cifre irrisorie (15-20% del prezzo di copertina). E’ – si badi bene – anche questo un indice di grave disaffezione al libro. Una volta se li conservava, in sancta sanctorum, anche per decenni. ORA li si cede non appena possibile.

Si è, in altri termini, rinunciato a credere nel valore complessivamente formativo della Scuola, delegando questa delicata e strategica funzione alla TV, ai video-giochi, ai telefonini, ecc. Con la naturale conseguenza di avere tanti dottori e poca domanda corispondente.


Paolo R,

26.9.08

martedì 23 settembre 2008

DAL DIVANO AL DIVANO


Nella (modesta) rassegna delle parole desuete che mi sono riproposto di immodestamente illustrare, volevo cominciare dalla OTTOMANA di cui probabilmente i più giovani non hanno mai sentito parlare. Si tratta di una sorta di divano con spalliera MOBILE e, perciò, facilmente trasformabile in letto (Dizionario Italiano Ragionato, DIR). Deriva certamente dall’Impero ottomano, poi dal francese ‘ottomane’. Nelle nostre case di metà secolo scorso erano assai frequenti ed anch’io ne avevo una, che, data la mancanza di cuscini, più propriamente, lo chiamavamo astico (=elastico). La foto in alto a six ne ripropone però una con bassa spalliera fissa. Altro non si è trovato. Assolveva quindi, intercambiabilmente, alla doppia funzione del divano e del letto. Noi occidentali, elaborando le due idee originarie, siamo perciò, più tardi, arrivati al divano-letto.

Sempre del tutto abbandonato nell’arredamento delle nostre case anche il SOFA’, già più raffinato, sempre un tempo, della suddetta ‘ottomana’. Anche questo deriva dal medio oriente (‘suffa’ in arabo vuol dire ‘cuscino’; passato poi al francese “sofa”) (Dizionario italiano, Tullio De Mauro). Di foto non possiamo proprio proporvene, pur avendo ampiamente ricercato anche nell’ “Enciclopedia degli stili” della Mondadori. Perciò solo una concisa definizione: panca con cuscino (DE Mauro stesso)
“C’era una volta un Re seduto sul sofà, che disse alla sua bella: Raccontami una storia. E quella incominciò”: “C’era una volta un Re.....”. Era stampato tutto intorno all’ombrellino trasparente di mia figlia Serena 25 anni fa !!!!. Con un po’ di sforzo mi è venuto in mente!

Della stessa famiglia delle parole di arredamento, desuete, anche il CANAPE’ che, stavolta, viene direttamente dalla Francia del Settecento e che può essere definito come sorta di divano imbottito, lungo e stretto, con braccioli. Il suo percorso è molto curioso: greco (konopos = zanzara), latino (conopeum), francese (canapé). La “zanzariera” di cui poco sopra, con un passaggio semantico non del tutto chiaro, denota il passaggio DA zanzariera A letto con zanzariera, come pensa il Battaglia (ma resta da dimostrare che il “canapè” fosse un letto con zanzariera) (il nuovo Etimologico Zanichelli).

Solo per completezza di sviluppo temporale, perché si tratta questa volta di parola ultramoderna non affatto desueta, curiosi, ci siamo detti: come verrà definito dai Vocabolari il nostro DIVANO!? Mi aspettavo una descrizione del tutto modernista ed, invece con grande sorpresa siamo stati ributtati ancora una volta tutti all’indietro nel tempo. Divano, infatti, dal turco “divan” (a sua volta dal persiano “diwan”) significa semplicemente “SALA DEL CONSIGLIO DI STATO”, perchè i Ministri dell’Impero ottomano sedevano, nella relativa sala, all’orientale, su cuscini disposti lungo le pareti (“La riunione del gran divano").

Ancora una volta non abbiamo inventato niente dal nulla. Come dice l’Ecclesiaste: “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole”.


Paolo R.

23.9.08.

lunedì 22 settembre 2008

GITA A VOLPARO


Non è lontano da Padova, circa 12 km., ma finalmente l’ho trovato quasi per caso. Si andava a Polverara a carne di cavallo per ricordare la recente gita in Corsica. 40 persone in tutto. 15 macchine. Siamo passati per Legnaro e poi a dx (venendo da Padova). Ad un certo punto mi trovo sotto il cartello: “VOLPARO – frazione di Legnaro”. Il mistero, che mi durava da circa 40 anni, si è improvvisamente svelato. Dopo annose ricerche precedenti lo avevo finalmente trovato. Esisteva davvero! E’ ad un tiro di sasso da Polverara, alla sue porte. Ed anche su Internet è presente (vedi la sua antica chiesa nella foto qui in alto a sx). L’avevo ricercato, sempre a caso, da tutt’altra parte in precedenza, senza ovviamente mai riuscire a trovarlo.

Perché ci tenevo tanto ad individuarlo fisicamente? Beh, perché vi insegnava oltre 40 anni fa come maestro elementare un importante giornalista di Padova, Memo Orati, cui ho già dedicato oltre 10 anni fa uno dei miei riuscitissimi “Pezzetti”, che riporto pari pari: “Memo... era tante cose: maestro, giornalista, pubblicitario, sindacalista, generoso offritore al bar, intrattenitore. Mi ha voluto molto bene e mi ha dato ‘importanza’ (ero giovanissimo allora). Ma voglio proprio dirglielo a chiare lettere, con i suoi ‘incarichi’ (lautamente retribuiti) mi ha dato la possibilità di affrontare certi oneri. Glie ne sarò sempre grato. Non conta se poi con gli anni i nostri rapporti si sono un po’ raffreddati. Cose che capitano”.

Era un vero organizzatore: di giornali, di tipografie, di convegni, di congressi, di Albi sindacali ed anche, a suo modo, un gran casinista. Aveva avuto, dopo la 600, una delle prime 850. Affrontava le assai numerose multe per divieto di sosta (500 lire) con molta serenità e ne appendeva i bigliettini gialli con uno spillo sull’armadio della redazione. Lo stipendio di maestro gli serviva solo per la macchina, il bar e le bianchissime Kent che abbondantemente fumacchiava, gettandole a metà.

Perché sia sempre rimasto ad insegnare in quella (soprattutto allora) sperduta sede di Volparo, restò per me a lungo un intricato mistero. Lui che muoveva (NON rimuoveva, ma faceva arrivare all’occorrenza ai suddetti Convegni a Recoaro Terme) il DG della Rai-Tv (Willy De Luca), lui che poteva disporre di Ministri e Sottosegretari con la massima disinvoltura, se ne stava mogio mogio a Volparo. Ne aveva anche dei grossi vantaggi, potendo, in realtà fare PRINCIPALMENTE il giornalista ed, in subordine, l’insegnante elementare. Una pacca sulle spalle al (povero) suo Direttore didattico ed il permesso era accordato.
Erano altri tempi allora sia nella scuola che nella società in generale, di più improntati ai rapporti umani. Anch’io ho spesso modo di rimpiangere quei bei tempi andati.


Paolo R.


22.9.08

lunedì 15 settembre 2008

ANDARE A CICCHE


Stamattina ho visto una scena che non vedevo da oltre 50 anni. Un uomo - poi forse vi dirò chi - stava “andando a cicche”. Dovrei dire a ciche (in buon dialetto padovano), ma preferisco stavolta - per ragioni di opportunità - usare il buon italiano, cui del resto direttamente rimanda il Vocabolario Veneto-Italiano di GF Turato-D. Durante. La parola italiana (da cui il termine veneto, appunto), deriva - pare -dal francese (chique). La parola stessa ha tre significati distinti, ma simili. 1. Mozzicone di sigaro o di sigaretta. 2. Cosa di nessun valore (volutamente abbandonata). 3. Una persona che non vale nulla.

Restando al solo primo significato, e venendo a Padova, mi ricordo – bambino – un vecchietto vicino ai paracarri (ora non ci sono più) di Piazza Capitaniato (Scavessà) che raccoglieva tutte le cicche che vedeva per terra. E se le poneva dove non ricordo più. Forse in tasca. Era un assolato pomeriggio estivo e per la strada non c’eravamo che lui ed io. Sapevo già che il motivo di quella “raccolta” era la sua estrema povertà. Allora i poveri c’erano e non se ne vergognavano. Oggi i poveri ci sono ancora certamente, ma sotto ... mentite spoglie. Oggi si soffre la povertà...più in silenzio...nell’intimità.

Col tempo, quei poveri si affinarono un po’, procurandosi - per non calarsi continuamente a terra - un bastone con un chiodo in punta: il lavoro sarebbe stato molto più facilitato. Anche oggi gli operatori dell’Azienda della Nettezza Urbana, per raccogliere cicche, carte e cartine, fanno uso di un tale principio (per non spezzarsi la schiena). Solo che usano un bastone metallico (non più un manico di scopa) con un congegno a presa-molla.

Se dopo oltre 50 anni si è tornati ad andare a cicche, vuol dire che la povertà non è stata ancora sconfitta. Comunque di questa tipologia di poveri oggi non se ne vedono più tanti come un tempo. Come mai ?

Forse l’analisi vi sembrerà un po’ troppo affrettata, ma ho mantenuto la promessa di scrivere fatta solo mezz’ora fa al mio amico Michele F.


Paolo R.

21.8.08




GLOSSARIETTO

1) A ben ricercare su 4-5 vocabolari, la radice della parola muta un po’. Tutto si rifà NON già al francese od ad altre lingue derivate dal latino (spagnolo: chico, italiano: cica; vallone: chiche; piccardia: chike; .....), come citano anche Vocabolari importanti, ma direttamente al latino come si vedrà al nr. 3 più sotto.

2) Tutto si riconduce - in termini generali – a cosa di nessun valore, in quanto troppo piccola per essere continuata ad utilizzare. Si pensi al mozzicone di sigaretta o di sigaro già fumati e buttati via. C’é però qualcuno che può andarli a raccogliere: il ciccaiolo. Questa parola è però del tutto sconosciuta nella lingua veneta ed è sostituita dalla vecchia espressione: “andare a cicche”. Anche Celentano, nella sua nota canzone “Sono simpatico”, invoca che per la sua ragazza (lui) non è che “una cicca... l’avanzo di una sigaretta fumata....”.

3) L’etimo corretto della parola CICA (con una C sola) proviene dunque (direttamente) dal latino ciccum = membrana che circonda e divide i chicchi della melograna (il frutto del melograno, dunque di genere femminile), di cui il volgo raddoppia la consonante C (CICCA), nel senso – come sopra detto – di cosa di poco valore (Nuovissimo Dizionario Palazzi, ediz. 1959).

4) Resta la curiosità di come la lingua latina si sia” scomodata” per dare un nome a quel qualcosa di nessun valore (consulterò al riguardo un agronomo-storico). Mi pare sia come parlare, in puro padovano, de ea pee dell’ajo. (!).



Per completezza di informazione, si precisa che:


secondo il NUOVO DIZIONARIO ETIMOLOGICO (Cortellazzo-Zolli):- nel dialetto milanese, cicca riguarda (semplicemente) il tabacco da masticare;
- ciccaiolo: chi rivende le cicche: non tanto chi le raccoglie (come detto più sopra).


Per completezza ancora maggiore, ci siano consentiti 2 ulteriori punti:

- CICA (con una C sola) rimane confinata alla traduzione della voce americana chicle (= gomma da masticare a forma di confetto), traduzione di lattice. ( A completamento: chew = masticare, ruminare.). Ma, secondo il NUOVISSIMO DARDANO. l’uso americano deve rifarsi all’atzeco: chicti). Vi piace ? A me sì !

Solo apparentemente strana la stessa derivazione di cicchetto, avendo doppio significato:
1) bicchierino (PICCOLO bicchiere) di liquore. Dal piemontese cichet = contenuto di un bicchierino. A sua volta dal provenzale chiquet (bicchierino).

2) Rimprovero, ramanzina, rabbuffo..Bellissimo il collante tra 1) e 2) utilizzato dal Cortellazzo-Zolli. Non possiamo non che riportarlo integralmente: “il significato di ‘rimprovero’, diffuso dapprima nell’ambiente militare, deve essere nato nelle caserme così: chi veniva chiamato in disparte dal superiore per una strigliata, sarà tornato riferendo scherzosamente ai colleghi che il capitano (o chi per esso) gli aveva dato un cicchtetto: e cioè offerto da bere !”.

MOLTO CURIOSA LA SPIEGAZIONE




Radice del tutto autonoma, invece, per la ATTUALE parola :
CICA (con una C sola) che rimane confinata nella traduzione della voce americana chicle (= gomma da masticare a forma di confetto), traduzione di lattice. ( A completamento: chew = masticare, ruminare.).


15.9.08


Paolo R.

domenica 14 settembre 2008

1 EURO A CIASCUN "VIGNAIOLO"



Mi è venuto in mente, all’improvviso, di “lavorare” su una serie di brevi, analoghi, episodietti capitatimi a caldo la mattinata di due giorni fa. Ed ho subito, freneticamente, mantenuto la promessa.

In Via Eremitani c’era (c’é sempre) una buona e calma vecchietta che, rannicchiata per terra e sempre vestita di nero, chiede l’elemosina emettendo dei sussulti di vocina. Di solito le do qualcosa, ma da qualche tempo ho elevato il suo compenso. Stavolta mi è capitato dalla tasche la bellezza di 1 euro e glie l’ho dato senza indugio. Con un “caro... bello...” e mandandomi il solito prolungato bacio, mi ha ringraziato (come sempre) per la mia (relativa) generosità. Sapete, non tutti le danno 1 euro in un colpo solo.

Vado a prendere un ricco aperitivo, seduto comodamente al tavolino di fronte al Conservatorio lì accanto. Conclusa l’operazione, vado per recuperare la bicicletta, ma un vecchio barbone, con il cappellaccio in testa, anche se é ancora piuttosto caldo, mi si affianca, senza – in verità – chiedermi nulla. Gli do egualmente 1 euro. Quella mattina avevo infatti in tasca solo pezzi da 1 euro. Il suo è il ringraziamento (visivo) di chi proprio non se lo aspettava minimamente. Un largo sorriso fuoriesce da quella barbaccia grigia, lunga, incolta e molto appuntita..

Ho fatto proprio tardi e devo svolgere almeno una delle due commissioni che mi sono ripromesso. Vado dunque dal barbiere a Ponte Ognissanti, dal bravissimo Fabrizio a regolarmi, io, la neofita barbetta centralmente bianca, con il baffo prolungatamente nero. Il Fabrizio come sempre mi serve a puntino. Anche a lui 1 euro di mancia. Potevo in cuor mio limitarmi ai soliti 50 centesimi se avevo dato 1 euro a quei mendicanti che nulla avevano fatto per me ? E fanno 3: speriamo di non incontrare altri per la strada.

Finalmente per concludere ancor più positivamente la mattinata, passo per la vicina libreria (“Libraccio”) per ritirare due libri di letteratura italiana ‘900 (Brancati e Pratolini) da un po’ di tempo ordinati. Ho infatti la grossa smania di incominciarli al più presto possibile. Scambio qualche parola con un cliente (Michele, operatore teatrale) e ragionando sulle mie elargizioni di poco prima, un improvviso lampo mi porta alla parabola degli operai mandati nella vigna (Mt. 20, 1-16) che dal padrone hanno ricevuto la stessa paga pur avendo lavorato in misura diversa. Non solo, ma il “padrone della vigna” incomincia a pagare proprio partendo da quelli che erano arrivati per ultimi.

Una parabola per me e per molti sempre del tutto sconvolgente, abituati come siamo a logiche puramente contrattualistiche. Quella parabola mi aveva già notevolmente angustiato circa 10 anni fa ed il mio Parroco mi disse allora, solo, che la logica (giustizia) di Dio non è quella degli uomini. Ma non mi aveva convinto pienamente. Continuai perciò a borbottare ed a brontolare in cor mio ed a ridacchiarne con gli amici più prossimi. E soprattutto a tenere il segnalibro a pag. 57 del mio “Nuovo Testamento” (LDC)

Stavolta ricorro, invero non troppo convinto, al per me novello Internet. Tra le molte analisi da scartare senz’altro, una mi è sembrata assai più convincente. Risultato attuale. PRIMO: le differenti risposte orarie dei vignaioli indicano che il Signore chiama sempre. Siamo noi che, in differenti momenti della nostra vita, possiamo dare la nostra risposta; non è importante a che ora della nostra vita. Si salvano sia quelli che rispondono subito, che quelli che rispondono per ultimi. Inoltre Iddio non premia, come nelle attuali società economiche, secondo il prodotto, ma secondo il bisogno.
SECONDO: il padrone della vigna comincia a pagare proprio cominciando dagli ultimi mandati nella vigna. Ne è molto più semplice la comprensione: gli ultimi della società saranno i primi ad essere chiamati nel Regno..


Forse gli eventuali teologi troverebbero qualcosa da ridire su Internet, ma esso mi ha “scaricato”, per ora, di una sofferenza decennale.


Paolo R.

giovedì 11 settembre 2008

GARZONE (1)





Quasi tutti sanno cos’é, o cosa era, anche se molti non ne hanno mai visti in azione. La parola è rimasta in tutti i vocabolari consultati, anche se la sua concreta figura é andata praticamente scomparendo da alcuni decenni.

Partiamo dunque dai VOCABOLARI. La parola é di origine franca poi dal francese garçon (=ragazzo) (in occasione di questa lettura ci siamo senz’altro imbattuti nel “ragazzo”, di cui, incuriositi, tratteremo a parte.)
Il PALAZZI molto sinteticamente ne mette a fuoco i tre elementi essenziali: “giovane che fa i servizi e specialmente quelli più faticosi in una bottega...”.
Il DE MAURO (Paravia) non vi si scosta di molto: “lavoratore subordinato, non qualificato, addetto ai servizi più semplici ed umili, specie in bottega”. Tralascia però, a nostro, avviso il requisito proprio della giovane età dell’addetto, mentre passa dalla fatica (PALAZZI) alla semplicità delle mansioni.

Limitiamoci alle botteghe di Padova-città, anni ’50 e ’60, tralasciando gli altri settori citati nei libri: g. di stalla, dei campi, della bottega artigiana (meglio in questo caso usare il termine di apprendista) .
C’era, più tipico, il g. del casoin che sovraintendeva al magazzino e portava a casa la spesa alle famiglie, con una biciclettona rinforzata-maggiorata (anche le ruote avevano una dimensione più grande) e munita di amplissimi portapacchi anteriore e posteriore. Portava, sua caratteristica, un grembiule di colore scuro. Non riesco proprio a capire come (rispetto ad oggi) l’esiguità del contenuto della spesa stessa richiedesse l’intervento del garzone. Non c’era sovrapprezzo per il servizio di consegna.
Anche il fornaio aveva il suo g. che faceva il “giro” delle case con i suoi sacchettini bianchi del pane (la stessa quantità per tutti i giorni, salvo modifiche): si andava a pagare settimanalmente, in specie la domenica (il forno era SEMPRE aperto la domenica mattina). Nel giorno del Signore c’era il pane fresco, ma, credo, bisognava andarselo a prendere. Anche il macellaio aveva il suo g., con una giacchina-grembiule bianca, sempre sporca di rosso-sangue. Mi dicono che c’era anche il g. del lattaio (in genere lattaiA:... perché quasi sempre donna ?).. Ma noi il latte siamo sempre andati a comprarlo.

Il cambiamento della società da 2-3 decenni intervenuto ne ha fatto del tutto scomparire la simpatica figura. I motivi sono certamente molto complessi (compreso l’aspetto sindacale, non trascurabile). Ma non ho né la voglia né la competenza per una trattazione più sistematica ed approfondita.


Paolo R.

11.9.08

Una piccola reminescenza a posteriori: i ragazzi delle ultime classi delle elementari, di povere famiglie, al pomeriggio, invece di andare a giocare, andavano a fare i garzoni e si prendevano spesso SOLO le mance.

Una conclusione poetica anche se il vero lemma sotteso é “ragazzo” e non invece “garzone”. Un tributo a Giacomo Leopardi (IL SABATO DEL VILLAGGIO):

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
é come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.

Godi fanciullo mio, stato soave,
stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.


martedì 9 settembre 2008

UN IMPEGNO (?)

Il mio smisurato amore per i Vocabolari mi porta stavolta a ragionare in negativo per così dire. Tutti i Dizionari - é una gara continua - sembrano contendersi il palmares dei neologismi. Una volta “assunte”, le parole restano lì ed il libro si ingrossa sempre più. Tra poco arriveremo pertanto ai tomi (libri separati di una stessa opera).
Ci sembra, pertanto, che nessun linguista od editore pensi a sopprimere le parole desuete (arcaismi): forse non se la sentono. Se la lingua è un organismo del tutto vivo, sarebbe naturale registrarne anche i “decessi”. Ma questo ultimo fatto é, in verità, assai più complicato Può trattarsi di “parole” abbandonate o sostituite da equivalenti più moderne; di “contenuti” soppressi od abbandonati, od altro.

Mi sarei ripromesso di scorrere a questo riguardo alcuni vocabolari, per ottenere un de-vocabolario, cioè un’opera “negativa” (!), ma è un lavoro improbo. Non volevo limitarmi ad un semplice elenco alfabetico, ma volevo - più opportunamente - completarlo con un commento di varia natura.
Sceglierò pertanto, per ora, solo alcune parole più significative, che più mi richiamino agli anni ’50 e ’60, per me più significativi.

Non prometto tanto di “percorrere” tutte le parole da ricercare, ma, su quelle presentate, svolgere un’indagine lenta ma al più possibile approfondita sia sotto il profilo linguistico (più Vocabolari a confronto) che in termini più generali.

Sono atteso ? Scrivetemi pure (“Commenti”) A domani (?) per la prima parola.


Paolo R.