venerdì 30 maggio 2008

CANCELLERIA

Sta andando musica anni '60 e '70. Mi è purtuttavia molto "vicina", soprattutto al cuore. Non mi basta un solo pezzo: devo farmene una scorpacciata perché si ridesti lo spirito tòrpido che è in me. Ogni scala, ogni ritmo, ogni nota mi galvanizzano e vanno a bersagliare le mie membra, principalmente le braccia. È un pezzo che non scrivo un "pezzetto" (!) Ve ne accorgerete più avanti, dalla successione delle date dei vari "pezzetti".La cancelleria mi ha sempre emozionato.
PRIMA: quaderni con le tabelline aritmetiche (erano postulati, capii più tardi), pennini, gomme, inchiostro. Nei primissimi anni delle elementari lo forniva la Scuola: veniva la maestra a riempirci i calamai incorporati nel banco.Quell'inchiostro non era di buona qualità perché sbavava sempre e bisognava pulire continuamente il pennino con uno straccetto. All'occorrenza c'era el traverson nero. I quaderni solo più avanti diventarono doppi-tripli. In origine erano di un numero contenuto di pagine. Le copertine erano però meravigliose! Ricordo ancora con amore la serie "Le Regioni d'Italia" con le illustrazioni di una città e la cartina dei capoluoghi di provincia. Allegata c'era la carta sugante. La gomma: che impresa e che disastro cancellare l'inchiostro. Alle prime, a casa, usavamo la mollica di pane con scarsi risultati. Di pennini c'è n'era una grande varietà: a 3 buchi, a campanile, ad un buco. Quando si spuntavano, si finiva con lo scrivere doppio. Mi pare che costassero 1 franco l'uno, o forse 5 (?).UN PO' PIÙ TARDI comparve la penna stilografica a stantuffo e perciò si dovette provvedere in proprio all'acquisto dell'inchiostro: boccette Pelikan (nero o blu). Caricarla doveva essere semplice. Non per tutti. L'emozione ci faceva battere con il pennino della stilo sul fondo della boccetta perché le mani tremavano (per l'emozione appunto).PIÙ A VANTI ANCORA fecero la loro comparsa le più comode penne biro (gli adulti importanti continuarono però con le stilografiche a pompetta, come forse faranno anche oggi). L'astuccio era necessariamente di legno. Talvolta il coperchio era rotante lateralmente, col rischio di pizzicarti le dita o una mano. I colori ci sono sempre stati, ma in confezioni e varietà assai ridotte: da 6 e non da 24-36 com'è oggi. Mi ricordo i Presbitero ed i Giotto (scatoletta di colore giallo). Il temperino a scuola ce l'avevano pochi. Perché?Mi piaceva quando mia mamma mi accompagnava in Piazza dei Signori. C'erano due belle cartolerie ("Lario" e "Palla") vicine tra loro. Preferivamo la cartoleria "Lario": stretta e lunga, con il tavolato scricchiolante e le due finestrelle su un buio cortiletto. Non potevano che dare scarsissima luce. Più andavi in fondo e più buio era. Vi vendevano, all'occorrenza, anche le statuine del presepio. Guardavo quasi sbalordito questi articoli, perché mi richiamavano: studio, ordine, pulizia, cultura. Ne ho sempre subito il fascino.Oggi lo subisco per la carta (come quella su cui sto scrivendo, presa da un'umile risma) e sulle sue "applicazioni": registri, notes, cartelle, cartelline, ecc.I libri meritano un discorso a parte!
Da tempo sto pensando se ci sia differenza di risultato tra
SCRIVERE A MANO o SCRIVERE DIRETTAMENTEAL COMPUTER !
11.1.98

giovedì 29 maggio 2008

L'OMO DEL GlASSO




l) La risma di carta si assottiglia molto lentamente;
2) La lampada è stata aggiustata gratis dallo zio Fabio;
3) Il disordine regna sovrano sullo scrittoio. Che bello! Che brutto!;
4) La musica stasera non va, se no si potrebbe dire che è solo merito suo.
*****
Soltanto qualche volta le idee sgorgano repentine e trovano corpo di getto. Ma il più delle volte sono frutto di un processo lento ed inarrestabile, cosi come l’ampia graduazione dal buio alla luce (alba). È questo il caso dell' "omo del giasso".
Allora il frigorifero era un bene di superlusso e ce n'erano pochissimi sul mercato.
Ricordo 2-3 famiglie in tutto che ce l'avevano. Alcuni dei pochi frigo erano di marca "FIAT", quantunque di forte metallo, enormi, con i maniglioni e di color più giallo che bianco.
In campagna penso si supplisse con le caneve e le frasche. Ma in città? C'era il ghiaccio che veniva venduto a domicilio. Esisteva una certa "rete commerciale" che si incentrava -scoprii più tardi -sulla fabbrica-deposito di Via Squarcione (di fronte ai vespasiani di Piazza delle Erbe).
Nel Vicolo l'ometto (perché si dice sempre così?) arrivava verso le 10 - 11. Non suonava né clacson né tromba. Lo si sentiva subito col suo piccolo motocarro o forse suonava il campanello delle sue poste. Aveva tempi molto stretti di consegna per la particolare natura della merce venduta. Se ne comprava 20-30 lire per un pezzo di circa l Kg. Che occhio aveva quell' uomo a spacare el giasso! Usava una specie di rampone di acciaio con il quale, a regola d' arte, menava secchi colpi ai lunghi blocchi parallelepipedoidi, trasparenti all'esterno e bianchi densi nel nucleo.
Inevitabile perciò lo sparpagliamento delle scaje che i tosi erano pronti a fare proprie per succhiarle subito. Per noi era quasi un gelato.
Per rigor di cronaca, dirò che il motocarro era blu, con le assi di legno orizzontali. Credo che fosse coperto. L' ometo aveva il volto arso-scuro, capelli neri, corti e ricci. Era un tipo un po' spicciativo, anche... per la natura della merce!
Una domestica vicina, Teresa, ne comprava sempre perché aveva un bel giassaroto (=piccolo mobile, simile ad una stufa a legna, foderato all'interno di lamiera, con rubinetti inferiori per il recupero dell'acqua. Si utilizzava da sopra per mettervi sia il ghiaccio che le derrate). Mi piaceva fare dei piccoli servizi alla Teresa, perché dopo mi dava l'acqua e menta ghiacciate: un bel bicchiere.
La mamma, finché non ebbe el giassaroto, teneva il ghiaccio in una bacinella.
Durava 5-6 ore, giusto il tempo strettamente necessario per il clou della calura della giornata.
Più tardi arrivò per tanti il frigo ed i giassaroti finirono in stua, così come molti cimeli che oggi si rimpiangono.
Vorrei conoscere in quanti quartieri di Padova girava
L'OMO DEL GIASSO!
10/12/97

INNO

Sei buonissima. La tua bontà è unica, inconfondibile. Sei tenera e fragile. Per fortuna arrivi immancabile tutti gli anni, a settembre. La tua stagione è però purtroppo troppo breve; vorrei che durasse di più.
In piazza pochissime bancarelle ti tengono (vendono). Sei così rara e sei anche un po' cara, ma ti vogliamo bene e ti compriamo lo stesso. Ti cerchiamo disperatamente e finché non ti troviamo non siamo contenti. Poi, accettiamo (sempre volentieri) il prezzo che ci richiedono, più alto delle altre qualità. Ne compriamo però così poca, facendoti quasi un dispetto nostro malgrado.
A casa diventi: aperitivo, dessert, dolce, digestivo. Ci fai bene allo stomaco e ci metti tanta allegrezza. Unico neo: ci muovi un po' la pancia!
Anche quei pochi che ne hanno una pergola non ne producono tanta: è anche questo segno della tua rarità.
Una volta i nostri vecchi ti mangiavano con il pane, più per segno di rispetto che per fame.
Hai un colore tuo caratteristico: sei contemporaneamente nera (di fondo) e biancastra (di superficie). Mettendoti in borsa, cerchiamo sempre l'angolino più protetto, per salvare la tua delicatezza.
Sei in particolare amata da chi ha una certa età e sei nominata con rispetto. Che anche i ragazzi comincino ad avvicinarsi a te!
lo non mangio mai quella "attuale"; mangio sempre quella dei bei tempi passati. Mangio soprattutto con te i bei ricordi.
Dammi un po' di gioia: ti voglio bene tanto!
Un particolare rapporto mi lega
all'UVA FRAGOLA!
2/10/97

mercoledì 28 maggio 2008

RIVOGLIO LA MIA BOTTE!



Non piena o mezza piena, per ubriacarmi. Basterebbe per questo solo un fiasco di vino! Vivo in città e le botti si possono vedere invece, piene, mezze piene o vuote, solo in campagna. Dove non voglio proprio andare ! (“il topo di città ed il topo di campagna”). Io sono, come avrete già capito, un topo di città.
Cosa ne vorrei fare allora della botte ? .
Non prendo in considerazione (come Diogene) i bisogni materiali, ma - spingendomi oltre – quelli “culturali”.
Oggi i programmi TV non hanno più soluzione di continuità: di giorno, di sera, di notte. I canali (satellitari e normali) sono infiniti. Così per la radio. Non c’è giorno che non esca un nuovo libro, film o DVD. Gli editori, nelle varie forme, si contano a centinaia. Le edicole sono tempestate di carta stampata, periodica. In TV non c’è ospite che non presenti la sua nuova opera.. Perfino i calciatori pubblicano... quello che possono. Poi c’è il teatro e le tournée musicali. Resta altro da elencare ?
In poche parole tutti sono interessati ai nostri acquisti... più che alla nostre fruizioni effettive (es.: lettura dei libri). Anche noi, mi sembra, contribuiamo all’esplosione esponenziale di questo fenomeno “culturale” inflattivo, in quanto – solo acquistando l’opera – ci pare quasi di possederne già le effettive conoscenze. Una sorta di “cleptomania culturale”. Di questo passo svanisce completamente nel nulla il ritmo biologico della giornata e.... della vita. Non si riesce più a restare senza far proprio nulla (pensare).
Non così la pensava il grande Diogene che con l’esempio volle dimostrare che l’unico modo di conquistare la felicità era quello di rinunciare spontaneamente ad ogni bisogno”. Visse vita pittoresca, disordinata e poverissima (si racconta che vivesse in una botte).
Anch’io, talvolta, di fronte all’incalzare delle proposte di acquisto-acquisizione dei prodotti (compresi quelli più sopra definiti “culturali”), mi rifugerei volentieri in una botte... vuota.
Paolo R.
28.5.08

martedì 27 maggio 2008

TODO MODO

Il titolo di uno dei primi libri di Leonardo Sciascia, titolo che in realtà non dice granché. Si capisce solo che è in lingua spagnola e quasi si rinuncia a penetrare nel suo più profondo e recondito significato. Eppure, il risvolto di copertina ne dà l’esatta traduzione: “...il miglior modo di adeguarsi alla volontà divina sono gli esercizi spirituali” (Sant’Ignazio di Lojola). Mai un titolo così azzeccato ed appropriato, secondo me. . Infatti la trama, in un perfetto giallo-poliziesco (fantapolitica ? di allora: 1974) narra lo svolgimento di un corso di esercizi spirituali in un convento-albergo in prossimità di una grande città. Inevitabile il morto, anzi 3, di cui opportunamente viene nascosto il colpevole. Tutto poggia su un prete filosofo-mondano (don Gaetano) che tiene i suoi ospiti tutti in pugno ed alla fine cade anche lui vittima.
Vi avevo promesso (“Si cambia”) che mi sarei dato alla narrativa e lo sto pazientemente facendo. Di Sciascia, siciliano, non so perché, ma mi sarei aspettato un profondo bagno nella sua terra (alla Giovanni Verga). Ma evidentemente mi sbagliavo di grosso. Passerò presto a “Il giorno della civetta”, di cui tante volte ho visto il film e chissà che non riesca a tracciarmi un quadro più azzeccato.
Per ora, traendo da Internet, credo che domani correrò a prendere la cassetta del film in oggetto: “Un centinaio di notabili della DC si riunisce in un convento-albergo, ufficialmente per un corso di esercizi spirituali, ma in realtà per una nuova spartizione del potere”. Mi attrae la eloquente figura di Gian Maria Volonté, da me sempre amato, che interpreta la figura di Moro (all’80%) e di Andreotti (al 20%).
Non solo persi il libro, ma anche il film. Ma come si fa a star dietro a tutto ?
Paolo R.

lunedì 26 maggio 2008

EA "NACIA"


Questo Bach (Partita nr. 2, BWV 1004) non mi ispira proprio. La cara Sandra che me lo ha prestato, mi aveva detto che non era molto bello. Il fatto è che l'ora dei CD è la stessa delle "scritture". Mi ero però già ispirato, inspirando lentamente in poltrona, pochi minuti fa.

Me lo aveva suggerito Mario di parlare dea nacia. A dire il vero ci avevo già pensato. Come si fa a tracciare un Amarcord senza parlare dea nacia? Della sua vera ricetta, scoprii molti anni dopo che è assai antica, toscana. E di fatti mi confermarono che l' Orsucci proveniva proprio dalla Toscana. Tiene ancora il "nome" a corso Vittorio Emanuele, vicino al semaforo d'angolo con Via A. Cavalletto.'Ora si è "evoluto" e vende pizze quasi regolari.

Ai miei tempi in Via Savonarola c'era semplicemente ea botega dea nacia, vicino al meccanico di cui dicevo in un altro "pezzetto", in prossimità dell' angolo con Via Isidoro Wiel. Si salivano due scalinoni ripidi; la porta a vetri tipo spazzacucina. Il colore della porta me lo ricordo ancora: sul celestino sporco. Il pavimento di mattonelle quadrate, chiare, semplicissime e linde. Era una bottega già abbastanza ampia per quei tempi. Alle pareti erano appesi non quadri (non era ancora di moda), non so bene, ma certamente qualcosa (rami "di rame", forse). Il bancone, profondo, era di fronte, di legno semplice. Sullo sfondo, il forno abbastanza ampio e capace. Davanti all'imboccatura, ad altezza di pancia, la lunga tavoletta scura di appoggio.

Quella bottegha ha chiuso almeno 25 anni fa, con l'avvento delle merendine industriali. Allora di nacia ne compravi 10 lire (20 i più ricchi) (era d'obbligo servire ea "zonta ").

La nacia era una specie di polenta di farina di castagne, qualche volta "farcita" con un po' di pinoli. Se arrivavi all'ora stabilita, la trovavi calda calda e ti riscaldavi le mani prima dello stomaco. La dovevi portare a scuola per la merenda, ma mai resistevi per così tanto tempo e la mangiavi subito. Te la servivano su un pezzetto di carta scura da casolin. C'era perciò il problema di conservarla: meglio allora mangiarla subito anche per questo! Era alta 3-4 cm ed aveva una crosta più grossa e più scura sulla superficie di cottura. Era quella che si mangiava per prima, così per gradire. Io pensavo di avere in casa (Via Savonarola) la Casa Madre dea nacia e ne ero quasi orgoglioso. Più tardi però scoprii che doveva invece essere in Corso Vittorio Emanuele e quasi ne rimasi male.

Per i più "ricchi" c'erano le "tortine", pressate, sempre di nacia, da 20 o da 30 lire. Ma non ne vendevano tante. La loro "rarità" giustificava la consumazione ai tavolini quadrati di fòrmica. C'è n'erano 4-5 con le sedie pure di fòrmica ed a struttura d'acciaio. Ma il divertimento veramente "sovversivo" era ea farinea. Anche qui 10 o 20 lire ed eri accontentato. Te la accartocciavano per bene. La prima la mangiavi. Il resto era per fare le battaglie sul traverson nero dei compagni, soffiandocela violentemente dal palmo della mano od indirizzandola talvolta anche contro la loro faccia. Oppure, la mangiavi avidamente, quasi soffocandoti, specie se la tiravi su (aspiravi) col cordone di liquirizia (5 lire). Non ho mai saputo bene se ea farinea era un alimento o un gioco pericoloso.

Altri giochi azzardati erano e capeéte (micro-petardi), e bomboete spussoenti! Dirò
qualcosa? Maahh.

P.S.: Avevo avuto un lapsus forse per colpa di Bach.
Le pareti erano abbastanza grezze, di colore bianco fino ad una certa altezza
e color marroncino nella fascia inferiore.
P.S.: Davanti aea botega dea nacia lavorava el Biscaroto.
Poco più in là la ostaria daea Boa, ritrovo dei venditori di "pereti caldi".


Al tempo dea nacia non c'erano ancora
le sponsorizzazioni commerciali


25/10/97

domenica 25 maggio 2008

UNA SOLA GIORNATA AL LAGO DI GARDA

Un argomento un po’ diverso dai soliti. Anche la giornata di ieri è stata per me diversa dalla solite giornate sedentarie (e di scrittura).
Ci siamo recati in pullman principalmente a Pescantina (VR) per assistere ad una cerimonia rievocativa del rientro dei militari italiani internati nei lager tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Era il maggio ’45 e fu stabilito proprio a Pescantina (frazione Balconi: sulla tratta ferroviaria Brennero-Verona) il centro di controllo delle condizioni generali di quei poveri soldati internati (circa 650 mila). La popolazione, specie le tose, rispose generosamente portando ogni genere di conforto. Per questo, di recente, quel Comune è stato insignito di M.O. al Valore Civile. Andate pure a vedere le storiche testimonianze (monumento, vagone ferroviario, Centro di documentazione).
Il pomeriggio l’abbiamo passato lì vicino sul Mincio, bel fiume ricco di acqua salubre (vicino al noto verde Parco Sigurtà), precisamente a Borghetto. Il nome la dice lunga. Si trova proprio in una piana a ridosso del suddetto fiume. E’ un centr...ino medievale, piccolo, pulito, ben raccolto e conservato (una 50na di case), arricchito da terrazze fiorite e da una decina di grandi e medi mulini ad acqua. Ci si stava proprio bene. Le stradine sono giustamente interdette alla circolazione automobilistica, per lasciare il posto agli sciorinanti turisti-pedoni. Il clima che si respira è molto buono ed il passeggio è molto salutare. Si tratta di un avamposto visconteo (ponte a bastioni) al confine col territorio gonzagheo, luogo storico di sanguinose battaglie di cavalleria (1849: “Carlo Alberto ha passato il Mincio....”)
Si può ben abbinare ad una visita al vicinissimo Parco Sigurtà.. E’ consigliabile andarci subito, per non intoppare nella... truppa. Autostrada Padova-Verona, uscita a Peschiera.


Paolo R.

25.5.08

"ALLA SERA"


Capelli scontornati di rosso appena, arruffati e folti, basettone larghe fino quasi alla bocca, zimarra scura completamente avvolgente, camicia a pizzo-svolazzo con ampi becchi, maniche della suddetta zimarra fino a mezza mano; soggetto inquadrato in un meriggio crepuscolare. E’ l’immagine più classica di Ugo Foscolo. E’ questa anche l’immagine che scarico da internet. Da sempre siamo abituati, per i personaggi più importanti, ad un unica iconografia. Perché ? Non è questo il luogo per voli pindarici, comunque anche di questo mi sono accorto per tempo.
40 anni fa (così ora i più curiosi sapranno che ho 60 anni, appena suonati) preparai l’esame di maturità (italiano) dall’amico Carlo C. In pochissime lezioni (non c’era tempo sufficiente) riuscì a farmi amare la materia ed in particolare a farmi di molto apprezzare i sonetti del Foscolo (insieme ai Carducci-Pascoli-Leopardi) che mi colpirono piuttosto intensamente, dato che non li dimenticai mai più completamente. Mi ripromettevo sempre di tornarvici.. ma – confesso - non l’ho mai fatto. Ora me se ne presenta una ghiotta occasione.
Di giorno sono piuttosto occupato (anche a pacioeare);. mi piace improvvisare più che programmare. Non sono affatto perciò un metodico, ma un improvvisatore (“eclettico” nel mio biglietto da visita). Corro di qua e di là, fumo un po’ troppo, ma so - ad un certo punto – riuscire a concentrarmi piuttosto intensamente, anche se non per lunghi tratti di tempo.
Ma alla sera, dopo cena, quando comincia a far buio, non mi abbandono alla TV, ma resto cheto cheto in camera mia a pensare... a non so esattamente cosa e mi trovo solo con i miei pensieri. Tutta la giornata convulsa se ne va, con gioia, all’improvviso. Da un po’ mi sovviene alla memoria il magnifico e struggente sonetto “Alla sera” del Foscolo appunto, di cui voglio trarre la prima quartina, lasciandovela in ricordo di oggi:
Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago
a me si cara vieni o sera!

Per il completamento, vi rimando ad altra fonte.


Paolo R.

24.5.08

PROVERBI DEI MIEI GENITORI

(Anni ’50 a Padova – zona Riviera S. Benedetto in Padova-città)

N.B. I “detti-proverbi” sono prevalentemente in dialetto. Li ho “raccolti” uno ad uno, solo mnemonicamente e casualmente, ma con chiaro l’obiettivo della mia…profonda “ricerca”. Mi riprometto, all’inizio, di presentarli e/o di commentarli, perché in questa era di televisione imperante, essi vanno certamente… scolorendosi nel tempo
Aggiorno il “file”. Non voglio affatto presentarli o commentarli, perché così perderebbero tutta la loro ricchezza intima. Chi può capire….capisca pure.Mi dispiace per gli altri… che mi auguro non siano molti.

N.B. 2: DOPO UN PO' DI LETTERATURA, ANCHE UN PO' DE RAISE:

“A far un proverbio ghe voe sent’ani”

Sono Sempre Stato Semplice Soldato, Sempre Sano, Sempre Senza Soldi


Pèso el tacon che el sbrego

Chi no varda un scheo
No vae un scheo

El lusso magna ea ténca


Un pare mantien sinque fioi,
ma sinque fioi no mantìen un pare!

Mae no fare
paura no vère

- Cossa vòeo, Genaro ? (un cafè;… un biciàrin…)
- (No):“Un piàto de bona siera!”

Siènsio perfeto;… che el diavoéo xe in leto,
che el diavolo xe sù;… cu-cu rucù

Chi va da l’avocato
pèrde l’ultimo ducato

Oggi non si fa credenza…
…domani sì!

Chi sparagna… el gato magna!

Chi no varda un scheo… no vae un scheo!

Perdere ea mussa… e anca i sessanta ire

Schersa coi fanti e assa stare i Santi!

Chi va al muìn, s’infarina!

Rosso de sera…
bel tempo se spera!

A Roma andai; a te pensai…
e una cartolina ti mandai!

Ghete ròto ea passaja del prete ?

Sito bon de dire: “asèo forte” ne na pàroea soea?


(Chi) pissa sàn…
pissa come un can!

Xe mejo un asino vivo
che un dotore morto!

- Gheto fame?
(imbarazzo dell’altro)
- Magna curàme!
Ecc. ecc.

- Cossa dixito ?
- …(forse) te ghèto sognà de ombreìni sensa manego…?

- Dove veto ?
- Al cinema !
- …Sì.. Al cinema “Bianchini”…
(co ea testa sui i cussini !)


Queo che no sòfega...ingràssa


Parla poco… e ascolta asssài
… e giammai… ti pentirai!

In casa dei gaeantoméni…
…prima e fémene e dopo i òmeni !

El xe un bon toso…
…mai sta in gaèra!

Un libro detti ad un amico per un’ora…
… libro ed amico aspetto ancora!

Vedi quella stanzina…
è la prigione …
dove ci casca il furbo ed il minchione!

Vago in lèto…
coi calcagni par dé drio !

(Ad un bambino che non gli andava di mangiare niente!)
“Sé te gavéssi fame come ed putèo del pastore!…”


Sempre alégri…
e mai contenti…!

E disgràssie nasse sensa semenarle

- Go mal de pansa!
- Vòlteghe ea schina!


Chi fa più de mama…ingana !


El diavoeo fa e péntoe
ma no i querci!


I omeni xe ciàpa co ea paroea
…e vache pa ea cavexa!


Duce: pàghéme ea luce…
Benito: pàghéme l’afìto!

Chi va al muìn… s’infarina!

Non voglio consigli…
so sbagliare da me!


Nota sol giasso!


Qua no xe imbarca cuchi!


Rosso de sèra
bel tempo se spera;
rosso de matina
ea piova se avisìna!

El soe magna e ore!


Va in Brespalia !

Chi va per suonare
rimane suonato


Oro bon
no ciapa màcia


Gnente xe bon pai òci


Quando el corpo xe frusta
ea ànema xe giusta


Can no magna can


Ride ben
chi ride ultimo


San Piero…
fa dire el vero


No ghe xe carne in becarìa
che prima o dopo vaga via

Chi arte no sa…
botéga sàra !

E disgrassie nasse sensa semenarle

Tra i due litiganti…
el terzo gode

Chi no varda un scheo
No vae un scheo

Non c’è 2 senza 3

Na man lava l’altra
E tute do lava el viso

Bòca sarà
no ciàpa mosche !

Domandeghe all’osto xe el gà vin bon!

Assa ‘ndare ea moneda par queo che ea vae

El magro sgiossa sol grasso

Da quei nasse quei !

El can xe volta contro el paron!

La cortesia è una chiave d’oro
Che apre tutte le porte !

Mai asàre ea strada vecia
pa ea nova

Ogni bel baeo stufa

Questa xe ea ciave
dea porta de casa
de l’omo de legno

L’occhio del paron
Ingrassa il cavallo

Chi non sa leggere la propria scrittura
è un asino di natura

El can de do paroni
more de fame

L’apparenza inganna!

L’occasion fa l’omo ladro

El vin xe fa anca co ea ua

Sòe de vero
e aria de fèsura
porta l’omo
a ea sepoltùra

‘a ea gaina ingorda
ghe crepa el gozo

patti ciari
e amicissia longa !

ago e pesseta
porta ‘vanti ea caséta

chi va piano
va sano e lontano.
Chi va forte
va a ea morte!

Na volta corre el can
e na volta el gato

Chi va al muìn s’infarina

Chi troppo vuole
nulla stringe)

Gnente fa ben pa i oci

Magnarghe i risi in testa

In casa dei gaeantomeni
prima e fémene e dopo i òmeni

Chi sparagna
El gato magna

Ea prima gaìma che canta
ga fato l’ovo


Presto e ben
no xe convien

aea gaìna ingorda
ghe crepa el gosso



Chi no xe contenta de l’onesto
Perde el mango
E anca el sésto

Puitei e colombi sporca e case

Co e nuvoe va al monte
toi i bo’ e va a ea corte;
co e nuvoe va al mare
toi i bo’ e va a arare.

Soldi e amicissia
corrompe ea giustisia

Pensa e ripensa
che de soba vien l’Assensa

Presto ebennon se convien

El Signoremanda e suchea chi no gà porsei

Chi no varda un scheono vae un scheo.

El Signore manda e suchea chi no gà porsei !

Na volta corre el cane na volta corre el gatoChi va dall’avvocatoperde l’ultimo ducato

L’uomo proponee Dio disponeCol corpo xe frustaea anema xe giustaPresto e benno xe convienChi si lodasi imbroda

Mal no fare…paura no vère

Soldi e amicissiacorompe ea giustisia

Par compagnia
Xe ga maridà anche un frate

Chi sparagnael gato magna !

Chi arte no sa…bottega sara !

Fin che ne xeviva Noè.
Quando che no ne ghe xe piùviva Gesù !
Ea prima gaina che cantaga fato l’ovo !

Prima de ea morteno xe sa ea sorte !

Co i nasse..tuti bei:
coi se sposa… tutti siori;co i more… tuti boni !

Tutto el mondo xe paese

Chi ha sa averega da dare

El can se volta contro el paron !

No stussegare el can che dorme !

Roba fatta par forsano vae na scorsa.

Ride ben chi ride ultimo !

venerdì 23 maggio 2008

LE CUFFIETTE



Tutti (?) sanno cosa sono; pochissimi se ne sono chiesti il significato della corrispondente parola (2 parole) inglese. Come sempre più spesso succede. Più spesso perché siamo sempre più spesso bombardati dalle parole, a cui non ci si dà neppure il tempo di comprenderne il significato.
A me capita esattamente il contrario: se non ne so il significato, quasi mi rifiuto di pronunciarne il nome. Esempio: “rimbambito” ha l’esatto significato semplicemente di “ritornato bambino”. L’ho detto e doverosamente spiegato, una volta, ad un mio dirigente. Anche se glie lo ho spiegato.con calma... non mi ha mai più voluto bene..
Per oggi trascurerò la premessa metodologica, che pur mi piace tanto e che è una specie di colloquio silente con i lettori. A domani (?) perciò.
Ritorniamo. Sempre più spesso si incontrano (prevalentemente) ragazzi con le suddette cuffiette. Se ne passeggiano tranquillamente in centro, con tono del tutto distaccato, non vedono né sentono altro niente. Rinunciano a qualsiasi incontro umano, vagano imbambolati (rimbambiti ?) con le loro cuffiette, di cui non te ne accorgi se non per i fili che collegano le loro orecchie alla “centralina” nascosta in tasca. Rinunciano del tutto al contatto con la natura (uccellini che cinguettano), allo stormire del vento nelle orecchie (è così bello) ed a tutti i suoni naturali ed artificiali. Sono quasi in una campana di vetro musicale. Vogliono isolarsi da tutto e da tutti. Ci riescono cos’ bene che,se conoscendoli, li saluti, non ti vedono neppure. Dimostrazione ! Credo sia proprio un crescente “rimbambimento”, ossia una moda, importata da chi sa dove!

E’ lo stesso fenomeno, al quale spesso assistiamo imbambolati, del qualcuno che, sempre strada facendo, sciorina imperturbabile al vento le sue telefonate personali. Obbligandoci a sentirle... a noi
che non ce ne frega niente. In questo caso ravviso anche una sorta di ... violenza verbale.

Paolo R.

22 maggio 2008

GRAZIE, SILVIA!


Ti ringrazio veramente che leggi sul mio blog. Anche la tua cara mamma si è - mi dici – molto divertita a leggere l'ultimo flash (“La bistecca di S. Antonio”). Ne sono più io contento, perché ho incontrato direttamente un lettore. Ti conoscevo già di vista, tramite l’amico “Ivo” che certamente ti ha passato il mio indirizzo-blog. Ma non me l’aspettavo. Mi dici di continuare a scrivere. Ma, credo, scrivere è assai pericoloso. Se scrivi tanto, puoi inflazionarti. Se scrivi poco puoi creare “vuoto” e conseguenti abbandoni. L’equilibrio mi pare la migliore cosa. Anche se tengo abbastanza d’occhio il contatore degli accessi.
Penso che voi non dovreste limitarvi a far andare avanti il contatore, ma - come già dicevo - inserire dei vostri commenti. E’ l’aspetto qualitativo più che quantitativo che stimola l’Autore.
A proposito di “accessi”, mi pare corrispondano alle copie vendute, più che agli articoli effettivamente letti. La tecnologia è cambiata, ma più in apparenza che nella sostanza . Rimangono sempre i rapporti Autore-Editore-Utente, mi pare di poter dire, anche se sotto mutate spoglie.
Tutto è cambiato perché nulla é cambiato. Auguri a te, Silvia, alla tua mamma ed a chi ti vuole bene.


23.5.08

mercoledì 21 maggio 2008

LA BISTECCA DI S. ANTONIO




Il mio caro amico Ivo, “verificatore ufficiale” oltre che tecnico, mi ha scartato un flash. Aveva ragione: non avrei fatto una buona figura, come nei precedenti (?). Di modo che sono in arretrato di uno. Nei blog, infatti, la verifica del numero degli accessi diventa stimolante a non deludere gli utenti trovando sempre i soliti scritti.. Bisogna incrementare. E’ come in un’edizione libraria in cui il numero di copie stampate cresce solo un po’ alla volta. Farebbero piacere anche i commenti, ma non se ne riscontrano tanti. Almeno fino ad adesso.
Ciò posto, dopo 6 anni di pensione abbiamo deciso con mia moglie di andare, nel prossimo mese, qualche giorno a Roma. Difficilmente ho varcato i confini di Padova, ma stavolta faccio le cose in grande. Stamattina, andando in agenzia a fare il biglietto ferroviario, abbiamo scoperto che non saremo di ritorno per S. Antonio. Me ne sono dispiaciuto assai. Non ci avevo proprio pensato. Non potrò così andare a vedere la processione con la bicicletta. E’ un bell’avvenimento turistio-religioso, che - anche se solo per 1 anno – mi dispiacerà perdere. Si trovano sempre persone conosciute (in processione, lungo i bordi od in bicicletta) ed il desiderio di sorpresa è sempre grande. Perché non parlare delle numerose bande musicali (“Le bande ora eseguiranno...” e via di concerto), corredate di majorettes; perché non parlare delle volontarie e numerosissime postazioni automobilistiche con altoparlante che assicurano totale copertura; perché non parlare delle nutrite rappresentanze delle congregazioni religiose (specie suore); perché non parlare di qualche figurante particolare. Credo che, tra alti e bassi, la processione del Santo attivi anche qualche turista. Apprezzo i rari negozi che, al passaggio, abbassano le saracinesche in segno di doveroso rispetto.
E come non ricordare – 30 anni dopo – la “bistecca” di S. Antonio (non è un piatto, nemmeno un dolce): cioé il disegno della lingua (del Santo) che, su suggerimento di Sr. Angioletta, mio figlio, all’asilo infantile, ebbe a disegnare sul suo primo album. Era una bella macchia rossa, piatta, di dimensione abbastanza grande, senza alcuna forma né struttura: così la battezzai allora io. Speriamo di recuperarla tra le vecchie carte.
Se troverò un adeguato numero di accessi, scriverò ancora. Diversamente... non stamperò che con difficoltà le ulteriori copie di questo libro virtuale a puntate.


Paolo R.

22 maggio 2008

lunedì 19 maggio 2008

IVO

Tanto per non perdere il ritmo. La creazione di un blog impone necessariamente il rispetto della produzione. E poi (glie l'ho promesso) stavolta se lo merita davvero. E' stato lui che di fronte alla mia (frammentaria) produzione ha avuto la candida idea di farmi un blog. In questo mese di maggio ho attivato un certo "lavoro"e non voglio perdere subito il ritmo.Ivo (non è il suo vero e proprio nome, ma ci assomiglia molto) ed io siamo amici da oltre 40 anni. E' certamente il mio migliore amico, perché - colpa mia - ho solo quello! Ma il suo merito non scende. Allora eravamo adolescenti; ora pensionati. C'è stato qualche alto e basso nella nostra frequentazione, ma - dati i caratteri abbastanza similari, comprese le esperienze bambinesche e di ragazzini - ci siamo sempre ben capiti e reciprocamente rispettati. Da pensionati, le strade si sono parzialmente divise ed ora (tramite il pc) ricongiunte. Io a scrivere (con il pc, pur conoscendolo solo in maniera frettolosa); lui a "pociarvi" sistematicamente. Io mi diverto a "divulgare" i miei scrittarelli; lui a ricercarvi sempre nuove funzioni.. Per il software è così diventato il mio principale punto di riferimento. Per l'hardware ho invece il carissimo Giancarlo M.(un mondo di attivi pensionati), paziente e metodico ricercatore.Nella vita non si può pretendere di saper fate tutto (lo si farebbe male), ma è importante avere amici che ti sovvengono in caso di necessità. E possono essere tante! Così mi sono sempre comportato. Ma io, cosa dò in cambio agli altri? Forse meno di quello che ricevo. L'importante, credo, è la disponibilità-generosità. E dare ciò che a noi viene spontaneo, con generosità.Diceva Madre Teresa di Calcutta che non si può pretendere di fare GRANDI cose, ma piccole cose con GRANDE AMORE ! E' una frase che mi resterà sempre marcatamente scolpita.

domenica 18 maggio 2008

CAN SCOTA'.....


Il titolo è sempre in dialetto padovano-veneto. Alla Luigi Meneghello, sia pur molto indegnamente da parte mia. Tra poco andrò a leggermi-rileggermi qualche sua meravigliosa opera. Ne sento da un po' il bisogno. E' come andare a "sciacquare i cenci in Arno" (Manzoni). Dopo un po' di Sicilia (sto leggendo Todo modo di Sciascia ed ho appena steso su Andrea Camilleri), un po' di origini nostrane non guastano.Veniamo al dunque. Motu proprio, senza tanta convinzione, tempo fa avevo buttato giù al computer una 50na di modi di dire in dialetto strettamente padovano. Erano i modi di dire di casa mia, di circa 50 anni orsono. Era stato più che altro un esercizio di sforzo della memoria, più che un'elucubrazione pseudo-letteraria. Ma li intercettò l'amico Angelo, giornalista, responsabile di una rivistina locale. Non so perché, ma se li prese subito a cuore e velocemente me li pubblicò. Non erano certamente tutti quelli abitualmente usati nella mia famiglia, perché a quei tempi se ne faceva largo uso, specie - mi ricordo bene - per cavarsi da una situazione d'impaccio.Questo ("Can scotà") mi era allora proprio sfuggito anche se mi viene buono or ora.Vad, da un po' di tempo, abitualmente, nei pomeriggi caldi, in una piazzetta a salutare varie persone che vi stanno beatamente conversando e prendendosi il sole, Per accedervi, devo però superare un certo scalino a piano inclinato ed ogni volta lo affronto con una certa difficoltà. Quella volta non spinsi adeguatamente i pedali e la bici, a metà della salitella, all'improvviso prese il rinculo all'indietro. Non so dirvi perché non frenai... che mi sarei salvato. Così, dopo qualche indietreggiamento, rovinai a terra planando con il braccio sinistro e successivamente con la corrispondente spalla. Ne ebbi subito un gran dolore. L'indomani, su consiglio di mia moglie, e non privo di paura (il male è inizialmente meglio non scoprirlo) mi recai al Pronto Soccorso. Prova generale di articolazione della spalla sinistra, superata (sia pure con paura)... e niente raggi (per economizzare le spese). Solo se il dolore non fosse passato entro qualche giorno, disse il medico del Pronto Soccorso, il mio medico di base avrebbe dovuto prescrivermeli. Intanto... tanti auguri e braccio al collo. Lo tenni per 2-3 giorni, ma il male si spostava saltuariamente anche sull'altra spalla. Forse era buon segno. Fortunatamente, poi, il medico di base (bravo lui) mi diagnosticava una fortissima contusione generalizzata, escludendo del tutto ulteriori complicazioni, Cominciavo a ben sperare, anche perché avevo capito che se il dolore non era concentrato in un punto determinato, forse era meglio così.Riuscii così ad andare fuori pericolo già dopo una settimana di totale abbandono della bicicletta, divenuta improvvisamente per me pericolosa (dopo 50 anni suonati di suo uso).E, dopo qualche giorno, volendo ritornare a chiacchierare su quella piazzetta, immancabilmente mi trovai dinanzi quello stramaledetto scalino a piano inclinato. Mi colse subito, per la prima volta, un forte timore ed una fortissima repulsione. mi colse: Impaurito, scesi da essa biciicletta e pazientemente superai, per la primissima volta a piedi, quel terrificante scalino.Non saprei esattamente tradurvi il modo di dire ora presentato (perchè la corrispondenza dialetto-italiano non sempre esiste), ma mi pare di potervelo ora presentare in forma completa:"Can scotà...gà paura dell'acqua freda" . Tutti capiranno e se lo potranno assai liberamente tradurre !









18. maggio 2008









Paolo R.

sabato 17 maggio 2008

LA TECNICA NON CI E’ SEMPRE AMICA

Il mio amico Sergio C., incrociatolo in bicicletta stamattina in Via Zabarella, mi ha un po’ (bonariamente) rimproverato sul mio modo di scrivere sostanzialmente di getto. Non come le “sudate carte” alla Leopardi, ma con uno stile – mi diceva – che talvolta meriterebbe una più attenta rivisitazione.
In premessa, gli sono da molti lustri fortemente debitore, per avermi lui adeguatamente (e gratuitamente) preparato all’esame di matematica generale. Ma me ne sono (parzialmente) sdebitato dedicandogli 10 anni fa due “pezzetti” (“Studia scienziato”; “Sergio C.”) della mia prima raccolta di scrittarelli. Mi sono trovato con lui in “dissidio” anche sull’opportunità-utilità-inutilità dell’uso dello scanner in una mia recente rielaborazione storica.. Faccio al riguardo rinvio al primo “flash” di questa raccolta, che ne descrive dettagliatamente gli aspetti tecnico-procedurali.
Forse siamo, in fondo, tutti e due due brave persone, con tutti i limiti annessi e connessi, compreso quello di difendere a spada tratta i propri convincimenti.
Ciò premesso, credo che anche se Giacomo Leopardi sappia egregiamente scrivere (specie in poesia), non tutti si sentano in dovere di trarre da lui ispirazione. I modi di scrivere sono tanti e poi tanti e non è detto che quello di Giacomo Leopardi sia il migliore in assoluto.
Già, Leopardi ! Sempre Leopardi ! Ultimamente mi è venuto una specie di cruccio al riguardo. Bazzicavano per la casa i suoi “Canti”. Quello che sempre più mi è piaciuto è stato ed è “Il sabato del villaggio”, perché facile, descrittivo e chiaro.
Parlandone a caso con un’amica, questa mi suggerì che da Feltrinelli vendevano un CD dei “Canti” stessi. Lo comprai immediatamente. Ma a tanti di quei canti gli volevo così bene che avevo deciso di passare oltre, realizzando, in proprio, per avere di più, addirittura un DVD con la collaborazione dell’amico Maurizio. Costasse quel che costasse. Facemmo però quello che potevamo. Siamo inizialmente ricorsi , timidamente, al programma “power point”, ma con scarsi risultati, nonostante la mia forte spinta iniziale. Volevamo ottenere anche la più perfetta sincronizzazione, cioè lo scorrimento in simultanea voce-testo(video). In buona sostanza, a video si sarebbe potuto (con difficoltà) riprodurre semplicemente le parole del testo. Se poi si fosse voluto riprodurre, sempre a video, anche immagini attinenti (es: il colle dell’Infinito), la cosa si sarebbe complicata sia sotto l’aspetto della ricerca delle immagini stesse, sia sotto quello del loro “collage”. Ci si sarebbe dovuti rivolgere ad uno Studio debitamente attrezzato. Idem per l’eventuale musica in sottofondo.
Avendo analizzato con calma il problema generale, scartai perciò - pur a malincuore - il progetto su Leopardi.
La cosa era sostanzialmente chiusa. In fondo avevo il CD ed il relativo libro di testo.
Ma una bella mattina, trovo in piazza, Nicola, regista teatrale in erba, che conosco da oltre 30 anni. Parlando del più e del meno (era un bel pezzo che non lo vedevo), all’improvviso gli parlo del mio “progetto” sul DVD. “Ma io ho già un DVD di Carmelo Bene che recita i Canti di Leopardi!”, mi risponde. Sul DVD stesso si vede, appunto, semplicemente Carmelo Bene che ne recita i versi. Prima trovo il CD ed ora trovo anche il DVD, semplicemente parlando. Per farla breve, me lo presta e così mi ci butto a capo fitto. Peccato che, non potendo distogliere neanche un secondo gli occhi dal testo scritto, il DVD si trasformi, alla fine, in un semplice CD.

Dice mia figlia da Parigi che Giacomo Leopardi ha semplicemente scritto per essere letto e non per essere “visto”.
Non sempre, mi pare poter dire, l’evoluzione della tecnica segue pari pari il primigerio pensiero dell’Autore.

Paolo R.

15 maggio 2008

venerdì 16 maggio 2008

COME VEDO CAMILLERI

Recensire un libro a 10-20 anni dalla sua prima pubblicazione mi è già capitato (Vedi “Soldi o acquasanta” di Pietro Galletto). E’ più un demerito che un merito, perchè si arriva troppo tardi rispetto a come si è abituati a vedere. Non pretendo di dire a nessuno di comprarlo-leggerlo. Siamo già infatti alla 36^ edizione de “La concessione del telefono” di Andrea Camilleri (Sellerio, Palermo). Perché allora questo intervento?

Presto detto: mi ero ripromesso poco fa di passare dalla saggistica alla narrativa (“letteratura”) ed ho mantenuto l’impegno. Per televisione, alla trasmissione domenicale “Per un pugno di libri” hanno presentato di recente proprio il pacioso Andrea Camilleri, che mi ha molto affascinato, incutendomi una certa dose di sicurezza. Peraltro, mi aspettavo un libro completamente diverso dal reale: una sorta di storia “amministrativo-burocratica”. Che mi avrebbe di più interessato. L’ho comunque scelto, soprattutto perché sono da sempre innamorato della sicilianità (Sciascia) e della sua cultura. Io, un veneto. Non se ne avrebbe ragione, a priori. La sicilianità che mi ricorda già la “scuola siciliana” del 1100 di Federico II. Mi pare una terra molto intensa e dai toni vivaci. Epperciò ho cominciato a mantenere la mia parola, proprio partendo da qui.

La mia non vuole e non può essere una vera e propria recensione, anche perchè sono al primo libro (dei tanti) di Andrea Camilleri. Mi dicono che questo è assai diverso da tutti gli altri ed è assai difficile. Innanzitutto è strutturato in una serie di lettere incrociate ed altre forme di espressione, nient’affatto vero e proprio romanzo. Ma gli scrittori di oggi, si sa, godono di maggiori gradi di libertà rispetto a quelli del passato. Vi ha molti personaggi, talvolta omonimi per creare maggiore suspance e solo a metà l’opera si manifesta per quella che intimamente è: un sostanziale giallo! Mi pare un prodotto di buona fantasia, e “la concessione del telefono” si rivela un puro pretesto sulla assai complicata complicata tramatura. Io non sono peraltro un amante del giallo, ma ho avuto fiducia di addentrarmici.
La struttura non è affatto piana come nel romanzo storico, ma io non ho - come vi dicevo – grande esperienza nella saggistica. Solo ora la sto abbracciando: il lavoro però certamente continuerà.



Paolo R.

16 maggio 2008

giovedì 15 maggio 2008

"COSSA FAEA" ?


Il titolo è in puro dialetto padovano, ma ne viene data piena ragione alla fine.
Ieri siamo stati in pellegrinaggio a Schio, dalle suore Canossiane (Matilde di Canossa), che custodiscono il corpo della consorella Santa Bakhita. L’avevo già sentita nominare, ma non più di tanto. E’ vissuta a cavallo tra la seconda metà dell’ ‘800 ed il 1947 (anno della mia nascita). Era originaria del Darfur (Sudan) la “madre moretta”. Fu rapita in giovanissima età e resa schiava di successivi padroni, finché approdò in proprietà di un console veneziano che la affidò, poi, alle canossiane di Venezia. Durante il primo rapimento da bambina, per la violenza della situazione subita, ebbe a dimenticare anche il suo nome. Le fu quindi dato quello con cui è più nota, che in arabo vuol dire “felicità”. Ahimè !

Faccio in breve. Dopo il noviziato in Venezia, fu assegnata alle suore canossiane di Schio, dove ora riposa come detto poco sopra.. La fama della sua bontà si espanse rapidamente, tanto da indurre ad un certo punto il Vescovo di Vicenza, Zinato, un “duro”, a farle visita nel convento di Schio. Nel colloquio, il presule, probabilmente in dialetto, le chiese: “Cossa faea ?”. E lei prontamente, sempre in dialetto veneto: “Queo che fa eo!”, provocando l’immediato sconcerto e la probabile stizza del presule, che ribatté prontamente: “Ma mi... so Vescovo!”. (Come puoi fare tu quello che faccio io, che sono un Vescovo!). E lei, altrettanto automaticamente e candidamente: “Fasso ea volontà del Signore”, chiudendo in bellezza ogni possibilità di replica. Da parte di Mons. Zinato.

L’episodio ci è stato raccontato proprio ieri da una anziana suora canossiana, che probabilmente conobbe direttamente od indirettamente Santa Bakhita.



14 maggio 2008



Paolo R.

lunedì 12 maggio 2008

NERI O GLI ALPINI DI ROMA?


Già da ieri avevo deciso di dar questo titolo al nuovo “pezzetto”. Ed ho mantenuto anche se il titolo stesso non è abbastanza trasparente. Si tratta comunque, come ciascuno potrà subito riconoscere, di una opzione, di cui solo il secondo termine è sufficientemente eloquente. Se avrete pazienza vi spiegherò, quasi subito, anche il primo termine. Intanto, mancando dell’articolo, si potrebbe essere indotti a ritenere che volessi individuare (i) neri (di colore). Ma non è così.
Voglio solo parlare dell’ottimo attore-presentatore Nerì Marcorè, che la domenica pomeriggio (Rai3 – ore 18) presenta l’istruttiva trasmissione “Per un pugno di libri”, ossia la gara tra due ultimi anni di liceo, tra scuole italiane. Stranamente, i ragazzi non vincono milioni, ma semplicemente un numero finito di libri. Ed è sugli stessi libri (trama, autori, ecc.) che si confrontano in gare avvincenti. Fa piacere, in questi anni che dei giovani se ne dicono peste e corna, vedere esistere e resistere di tanti bravi ragazzi, pronti a misurarsi su temi “librari”, e non sui soliti stupidi quiz generici (non è questa vera cultura!). Anche il pubblico interviene in un bel rebus criptato. Mi diverto, con mia moglie, ad indovinare in particolare il gioco “Fuori gli Autori”: ad ogni titolo di libro, in pochi secondi, bisogna indovinarne l’Autore. Sono stato contento anche perchè in alcune occasioni ho quasi subito indovinato il libro misterioso, all’inizio della rivelazione dei primi indizi (“I promessi sposi” e “Cristo si è fermato ad Eboli”). Questa trasmissione l’abbiamo fedelmente seguita per alcuni mesi e ci ha riempito egregiamente gli stanchi pomeriggi domenicali. Ieri, domenica 11 maggio 2008, c’era la finalissima e, a priori, non volevamo perderla.

Al curatore del Museo dell’Internamento di Terranegra avevo già detto che non sarei potuto restare per ascoltare il coro degli alpini di Roma., che si esibiva nel suo repertorio tradizionale, reduce dalla Adunata nazionale della mattinata a Bassano del Grappa. Ma poi, chiamato nel primissimo pomeriggio a predisporre per l’accoglienza di detti alpini nella sala del vicino patronato, non me la sono sentita di abbandonare quelle simpatiche, meritevoli e meritorie persone (gli alpini) per correre davanti alla televisione, pur conscio che quella scelta sarebbe comunque stata per me un po’ dolorosa. Non me ne pentii.

Lamento solo come di opzioni egualmente serie non se ne presentino, purtroppo, assai frequentemente.



12 maggio 2008


Paolo R.

sabato 10 maggio 2008

SI CAMBIA!


“A Mestre si cambia”; “A Bologna si cambia”. Era questo l’annuncio, strillato dagli altoparlanti della stazione, collegato ad un importante viaggio ferroviario. Oggi, non più bambino, tali annunci non si sentono più. Le cose sono cambiate!, ma non ce ne interessa affatto il motivo.
Anche “Berto” è cambiato. Da stentato (e sdentato) lettore della Chiesa di Terranegra, ora - a 70 anni suonati – è diventato valente collaboratore di una Chiesa protestante dell’Arcella.

Così, anch’io sono cambiato. Io me ne sono certamente accordo ! Ma gli altri ? Forse sono troppo presi da se stessi e degli “altri” colgono solo gli aspetti superficiali, come dicevo in altro recente “pezzetto” (Modugno).
Voglio qui parlare solo del mio rapporto con i libri. Dopo 45 anni di appassionata ricerca saggistica, mi sto dando... all’ippica (letteratura). L’interesse per la saggistica stessa mi è stata trasfusa dagli amici giornalisti (Roberto) a metà anni ’60. Scoprii così la Feltrinelli e la Laterza, in particolare. I relativi libri (economici) li acquistavo e li leggevo (studiavo) regolarmente. Soprattutto quelli a contenuto storico. Prosegui così ed allargai un po’ l’orizzonte fino all’altro ieri. Ma man mano che procedevo in questo quarantennale percorso, mi accorgevo che tutta la mia sete non poteva essere abbeverata da quell’acqua, La saggistica – stavo subodorando - parla, infatti, solo al cervello e non al cuore. Ma l’uomo non può essere ridotto ad una sola delle sue componenti.
Era necessario arrivare anche al cuore. Così, assai pigramente nel corso di quegli stessi anni, mi stavo accorgendo di un nuovo bisogno culturale: la letteratura. Mia moglie, al riguardo, è ben più avanti di me, da alcuni decenni. Non so se riuscirò a riprenderla, ma lo dubito. L’ho conosciuta mentre, nella corsia dell’ospedale dove prestava servizio come allieva, stava, di notte, divorando Pasolini. E mi affascinò. Ne ebbe senz’altro un’impressione positiva (verso di lei). E questo ha avuto un profondo segno negli anni a seguire,
Ora (2008), seguendo regolarmente la trasmissione di domenica pomeriggio“Per un pugno di libri”, vedendo quei bravi ragazzi preparatissimi in letteratura (non solo italiana), mi è progressivamente scattata una molla: perché non anch’io nella letteratura ? Sì, perché parla al cuore, ma sempre parla.

Dedicato a mia moglie Marina ed alla letteratura (in primis italiana)


Paolo R.

10 maggio 2008